Mariagiorgia Ulbar (Teramo 1981) poetessa e traduttrice italiana
Le pietre si comportano in modo doppio scompaiono dentro l’acqua se le lanci ma se l’acqua si è ghiacciata in una lastra loro scivolano e rimbalzano. Osservare come fanno queste pietre fornisce una chiave sul tuo conto: io sono pietra e doppia nel confronto col liquido che prende e manda giù o col ghiaccio che al contrario ferma e lascia andare più in là di qualche metro scivolando lisci o con un tonfo e la fine del muoversi, l’arresto non è che colpa dell’attrito. “Ma che vuoi, bella mia? Se sprofondi non ti fermi lo stesso giù nel fondo?” Sì, ma il fondo, è evidente, non è il sopra.
Di nuovo, le campane. Di nuovo apri …………………………………………….gli occhi. Un intervallo. Essere una persona – umana e poi donna. …………………………………………….Essere una che ha avuto …………………………………………….abbastanza. Abbastanza sottosuolo. …………………………………………….Abbastanza giardino col suo muro alto anche se non alto abbastanza con tutti …………………………………………….gli spioncini a meno che non fossero …………………………………………….soltanto cretti accidentali ……………………………………………. da cui vedere il mondo. Ci volle il mito per uscirne …………………………………………….fuori. Ci volle …………………………………………….un voto per credere in un …………………………………………….dio …………………………………………….per trovare il coraggio …………………………………………….d’uscirne.
Talvolta la nostra mente si condensa al grigio delle nubi, quasi ne diventasse parte integrante e in quella fusione, pensiero/natura, ci si spersonalizza quasi per caricarsi d’essenze del passato, che abbiamo accuratamente messo da parte, per crogiolarci in esse, quando ne capitasse l’occasione.
Si rimugina su quelle scelte non fatte, che avrebbero potuto, in qualche modo donarci dei vantaggi o facilitarci parte del percorso, sempre così accidentato….ma il timore di insuccessi e quella parte predominante di insicurezza, che preme, nel momento sbagliato, ci ha fatto soprassedere dal mutare quella stantia abitudine di sempre.
Anche quelle parole non dette, a una persona che consideravamo speciale, le riascoltiamo amplificate dentro noi….e non possiamo più pronunciarle, perché il tempo implacabile ci ha privato di quella focale presenza….
Quanti tasselli della vita compaiono, in un labirinto mentale senza uscita e senza ritorno, che inducono ad attente riflessioni e a un’indispensabile crescita, che ci permetterà, in futuro di mediare passi più attenti e precisi, evitando di scivolare in qualche trabocchetto del terreno, sempre presente nel lungo cammino…..
“Non sospirare quando ti fai il letto ai tuoi sogni potrebbe mescolarsi il sudore dei morti“, N. Sachs, “A voi che costruite la nuova casa” da “Nelle dimore della morte”, ora in “Poesie”, Einaudi 2022
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una donna, di antichi misteri incappucciata, intona nenie senza trama e scende cantilene dondolando mentre fugge il sudore dei morti,
la fata Attraverso l’accompagna lungo un muro che il mondo respira, sbirciando ogni tanto tra i chiavistelli nel fondo del baule il suo sudario
Scosso
quel bricco della mente
dall’approdo d’erosioni
sanate a fatica.
Mobili ascelle
premono sull’avambraccio
alla ricerca d’un’essenza profumata
incastonata nel sofisma del giorno
per sconfinare
in una gioiosa manfrina
che renda soffice il respiro
in un infinito si bemolle...
@Silvia De Angelis
La storia e il significato di “The House Of The Rising Sun”
Faciamo un salto nel passato, scopriamo la sua storia e il suo significato.
Quando nel 1963 Eric Burdon si unì agli Alan Price Rhythm & Blues Combo, band fondata dal tastierista Alan Price, quest’ultimo pensò bene di mutarne presto il nome in The Animals per via delle loro performance selvagge.
Il gruppo, così ribattezzato, fu attivo fino al 1966 e faceva parte della cerchia dei rappresentanti della british invasion assieme a Beatles, Who, Rolling Stones e Kinks.
Ma gli Animals divennero noti al grande pubblico soprattutto grazie al singolo The House of the Rising Sun.
The House of the Rising Sun (detta anche Rising Sun Blues) è una ballata folk statunitense risalente alla prima metà dell’Ottocento.
La versione che gli Animals ne fecero nel 1964 è quella più famosa: all’epoca svettò nelle classifiche di Stati Uniti, Regno Unito, Svezia, Finlandia e Canada, e fu anche una antiwar song, ovvero una delle canzoni più amate sia dai soldati americani sul fronte del Vietnam, che dai ragazzi che sul «fronte interno» combattevano contro quella guerra.
Uno studioso di folklore, Alan Lomax, scrisse che la melodia del brano era stata presa da una ballata tradizionale inglese (probabilmente Matty Groves risalente al Seicento) e che il testo era stato scritto da Georgia Turner e Bert Martin, una coppia di abitanti del Kentucky. Nella canzone, ambientata a New Orleans, si parla di una casa chiusa, la Casa del sole nascente (“House of the Rising Sun”) e di ragazze perdute, le prostitute di Storyville, l’antico quartiere a luci rosse di New Orleans conosciuto anche come «The District», esistente tra il 1897 (quando il sindaco Sidney Story lo istituì per difendere il «decoro» della città, estirpando la prostituzione dalle strade) ed il 1917, quando un’ondata moralizzatrice partita dai vertici dell’Esercito ne determinò la chiusura. Alcuni ritengono che la casa sia esistita realmente e che fosse presieduta da una maîtresse di origini francesi chiamata Marianne Le Soleil Levant, dal cui cognome (o forse soprannome) sembra essere derivata la denominazione della casa.
Oh mother tell your children Not to do what I have done Spend your life in sin and misery In the house of the rising sun
Quella maschile parla di un ragazzo proveniente da una famiglia problematica e pentito di aver passato la sua vita nel peccato e nella infelicità frequentando la “Casa del sole nascente”; quella femminile, invece, parla di una ragazza pentita di essere entrata nel giro della prostituzione e costretta a rimanere in quella casa per poter vivere.
La versione femminile la ritroviamo nel repertorio di Joan Baez.
Rimpianto di altri sopravvissuti soli incapaci di dimenticare veterani del Vietnam col culo per terra dentro inutili cappotti a bere vino da poco vecchi articoli di giornali riletti nei momenti vuoti dentro e fuori squallide stanze con romanticismo da lampadine da 20 watt all’erta totale per il destino cenere e polvere è quel che si debbono aspettare di trovare nella posta all’Ufficio Postale sulla Bowery in missioni di salvataggio dove i soldati se ne stanno strafatti finché non barcollano via dalla loro pelle e ossa per attaccarsi a bottiglie che gli attaccano l’anatomia e i marciapiedi cadono a pezzi ovunque vadano i loro resti mentre continua l’orgia di bevute per ragioni che solo loro conoscono ignorando la segnaletica che dice alt morti o vivi arrivano al negozio di liquori illuminato al neon in uno spirito che è spiegazzato come i loro vestiti distrutti gli incidenti…
La felicità cercala in un sorriso, nel prolungamento dell’ombra d’un fiore, nella semplicità della natura, nella mancanza di dolore, è solo quella che sei in grado di comprendere; è vivere, sei tu
BIO-BIBLIOGRAFIA
Sergio Camellini è nato a Sassuolo (Mo), vive a Modena; è psicologo clinico. Studioso di arte povera della civiltà contadina e dei mestieri, fin da piccolo si è soffermato a rimirare i lavoratori dei campi e gli artigiani nelle botteghe: calzolai, fabbri, ceramisti, sarti, fornai, mostrando interesse per tutti coloro che erano dotati di autentica creatività. Ha poi fondato sull’Appennino modenese un “Museo d’Arte Povera della Civiltà Contadina”, mondo da cui ha tratto l’ispirazione poetica. Ha pubblicato varie raccolte di poesie tra cui: Nel corpo un soffio dell’anima, pillole di pensieri e poesie (2013), Rivoli di pensiero sulla carta (Ed. Pagine, Roma 2013), Poesia sei tu (SD Collezioni Editoriali, Vibo Valentia 2014), Il pianeta delle nuvole rosa (SD Collezioni Editoriali, Vibo Valentia 2014), La pagina della vita (in Alcyone 2000 – Quaderni di poesia e di studi letterari, n°7, Guido Miano Editore, Milano 2014), La mia penna traccia linee di libertà (Ed. Pagine, Roma 2015), Bagliori (Ursini edizioni, Catanzaro 2015), Un sogno con le ali (Vitale Edizioni, Sanremo 2016), So di essere (Edizioni Progetto Cultura, Roma 2016), Tenero è l’amore (Guido Miano Editore, Milano 2017), Ponte dei sogni – Most snova (tradotto e diffuso in Serbia, 2017), Opera Omnia (Guido Miano Editore, prima edizione, Milano 2018), Tra le righe del pensiero (Edizioni Progetto Cultura, Roma 2018), Il canto delle Muse (Guido Miano Editore, Milano 2019), Madre natura è vita (Aletti Editore, Villanova di Guidonia 2019), Viadante dei sogni (Dantebus Edizioni, Roma 2020), S’accende una luce (Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia 2020), Lasciami di te un’emozione (Ed. Pagine, Roma 2021), I colori della fantasia (Guido Miano Editore, Milano 2021), Ascolto i 181 silenzi (Consulta libri e progetti, Reggio Emilia 2021), Pillole di emozioni (Edizioni Progetto Cultura, Roma 2022). Ha inoltre curato la pubblicazione del libro d’arte Torpedo e la ballerina (Edizioni Sigem, Modena 2021) di Roberto Muzzarelli. La sua attività letteraria è trattata nelle opere pubblicate da questa Casa Editrice: Alcyone 2000 – Quaderni di poesia e di studi letterari, n°9, 2016; Dizionario Autori Italiani Contemporanei, quinta edizione del 2017; Contributi per la Storia della Letteratura Italiana. Dal secondo Novecento ai giorni nostri, quarto volume, terza edizione, 2020. Splash Museum di Sassuolo (Mo): “Panchina del poeta” dedicata.
UOMO, DOVE SEI ? Eri presente: abitudini e gusti, costumi e strutture, cultura, idee creative, modi di essere di pensare di amare, conoscenze e sentimenti. Ora latiti: ove il gravoso retaggio infruttifero del passato, divenuto bagaglio archeologico, t’adombra. Uomo, dove sei ? Sergio Camellini
«Non perdo di vista me stesso, né m’avvilisco nonostante le avversità.
So chi sono, so di essere, so d’occupare un posto quaggiù.
Voglio percorrere, anche in salita, quest’irto e affascinante progetto di vita.
Certo che sì, è tutto mio, allorché sempre strettamente comunicante con l’altrui realtà.
Se scrivo è perché non so far altro: per questo vivo e per null’altro». (Sergio Camellini)
Sergio Camellini lo psicologo clinico dalle parole semplici, l’osservatore dell’umiltà. delle cose semplici, delle cose genuine, un linguaggio diretto che ti arriva profondamente. Le sue poesie non fanno giri di parole difficili, ma è un dialogo aperto con l’uomo, con se stesso, con la natura, con tutto ciò che stimola emozioni. Sergio Camellini le emozioni le conosce, ci ha lavorato una vita, dopo una vita a scavare negli altri, a capire, ha cominciato a farlo con se stesso. Si è seduto ed ha scritto e non si è fermato, lui ha un animo gentile, i suoi sogni hanno ali, guarda dentro se stesso per non perdersi e la sua poesia vola in ogni angolo e ogni angolo diventa poesia. Sergio Camellini che nelle sue poesie vuole essere un piromane d’amore, una fiamma accesa, un uomo che si indigna davanti agli ultimi, ai soprusi, alla violenza, tutto scritto con delicatezza, direi tenerezza. Ogni tema trattato sviscerando il suo essere sensibile e anche sofferente per le ingiustizie. Nella sua carriera di psicologo clinico ha affrontato molti mostri, terrore, sofferenza, dolore, poi salvezza? Qualche volta si, qualche volta no, ma lui nonostante tutto ci crede nella vita, nell’amore, fatalistico nei confronti dell’ uomo? Forse! e chi non lo è! Mi colpisce di lui, il senso di rispetto che ha per tutto, la sua ricerca dell’uomo in quanto tale! L’amore delicato, tenero nei confronti delle donne, Camellini è il frutto della sua esperienza, finalmente si è seduto e scrivere poesia, è la sua psicoterapia.
Dà i numeri del lotto il Campanile della Chiesa? Prima le due e mezzo, adesso suona le dieci, il mio fa le tre, è fermo, e la sveglia, figurarsi, segna le undici, si dev’essere scaricata la pila, aspetta, che di sopra hanno potato il pioppo, si vede fino al Torriazzo, questa è bella, fa mezzogiorno, sono diventati tutti matti gli orologi? “Caterina, che ore sono?”, “Non lo so mica, mi sono addormentata, Liana, che ore sono? ma guarda l’orologio, come che non ce l’hai, l’hai perso? Anche quello? se lo sa tuo padre… che avrò dormito, io dico, saranno sì e no le quattro”, “Ma a me mi ci voleva l’ora giusta”, aspetta, di sotto passa qualcuno, “Amedeo, va’ là, hai l’ora buona, che qui non si capisce più niente”, “Magari, ma portato ieri l’orologio a far aggiustare, ma saranno le cinque e un quarto, cinque e mezzo”, “Già le…
Voce leggera, pochissimo bisognosa di appoggi, essa tende a bruciare le sillabe nello spazio bianco della pagina.»disse di lei il grande Eugenio Montale
Milano 1912-1938
Antonia è solo il primo di un a serie di nomi parentali ed è quello del nonno materno ,persona coltissima,storico, pittore di acquerello e amante dell’arte. La nonna Maria è a sua volta coltissima e di famiglia illustre: è infatti nipote di Tommaso Grossi.
I genitori di Antonia sono entrambi molto istruiti e raffinati:il padre, Roberto è un noto avvocato e la madre ,contessa Lina Cavagna di Sangiuliani è donna di spessore,che conosce bene il francese e l’inglese e legge molto,suona il pianoforte,ama la musica e il teatro, ricama e dipinge.
Antonia ha anche tre zie materne con le quali trascorre parte della sua infanzia e una zia paterna che ama e dalla quale è teneramente ricambiata,come del resto accade con la nonna materna.
La bimba era nata desiderata ardentemente dalla coppia,e lei delicatissima,bionda e minuta non tradisce le aspettative :è intelligente e precoce,tanto da supporre che frequenti la prima classe come uditrice, prima dell’età scolare
Il suo percorso scolastico elementare si attua poi nella scuola statale di via Ruffini a Milano.
Non ancora undicenne, Antonia viene iscritta al Liceo e già in terza superiore comincia ad interessarsi alla poesia con le amiche del cuore Lucia Bozzi e Elvira Gandini.
Qui fa la conoscenza con il professore di greco e latino e ne rimane affascinata :Antonio Maria Cervi è uomo che desta ammirazione non per l’aspetto fisico ma per la coerenza,l’integrità, la cultura profonda e l’amore per l’insegnamento.
Distribuisce libri,incoraggiamenti,consigli agli allievi e Antonia scopre molte affinità di sentire e di pensiero con lui,che avverte colpito da un dolore profondo che glielo avvicina ancora di più, ,sensibilissima come è. Ma il padre,al quale il professore chiederà la mano di Antonia,ostacola fermamente la relazione e nega il consenso alle nozze .
Questo amore negato sarà un grande dolore per la giovane Antonia che non troverà mai più una tale intensità di amore e di affinità elettiva. Nel 1930 Atonia entr anella facoltà di lettere e filosofia dove incontrerà persone amiche di grande spessore come Vittorio Sereni, Dino Formaggio, Remo Caantoni, Antonio Banfi con cui deciderà di laurearsi con una tesi sullo scrittore decadente Flaubert.
Emergono in questi anni i suoi interessi per la montagna,specie quella vicino a Pasturo, dove trascorreva le vacanze, e che vengono tratteggiati in pagine di prosa e di alta poesia. Nel 1934 compie una crociera in Sicilia,Grecia, Africa e scopre quella storia e civiltà studiate al liceo;poi si reca in Austria e in Germania per approfondire la conoscenza della lingua tedesca,che ama grazie al suo insegnante Vincenzo Errante, tanto da tradurre in italiano alcune pagine di Hausmann.
Antonia ama la montagna e la natura ,che fotografa cercando di cogliere con l’obiettivo,l’anima nascosta delle cose.In pratica,è un altro modo di far poesia .
Sembra tutto normale :viaggi,interessi,amicizie ma non è così:la sua anima vive costantemente il tormento esistenziale che nessun diversivo sa placare.Neppure diventare docente presso l’istituto tecnico “Schiaparelli”o l’attività a sostegno dei poveri o il progetto di scrittura di un romanzo sulla storia della Lombardia ,né la poesia,che resta la sua vocazione più profonda.
Del resto,pur essendo un’anima pia,non è supportata dalla fede e questo contribuisce alla sua disperazione che la porterà a suicidarsi,ingerendo dei barbiturici, il 3 dicembre del 1938 a soli 26 anni,quando già spirano i venti di guerra.
Lei che aveva scritto al suo amato:«Anche se io non riuscirò mai a vedere nel vostro Cristo più che l’uomo, pure saprò farmi buona, saprò camminare, saprò crearmi dentro sempre più il mio dio: e non cercherò di conoscerlo, perché conoscerlo è rimpicciolirlo. Sarà un camminare con una meta canora dentro, che non si può vedere ma senza posa si sente; un vivere la vita senza abbandoni, creandosene dentro, ad ogni istante, gli scopi.»
E ancora:
.Tu sai tutti i segreti,
come il sole;
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.
Perduto quell’uomo-guida,quasi luce divina ,la sua vita si fece buia,senza più la necessità del vivere.La sua innata malinconia si fece dolore e nessuno scopo le parve più interessante da raggiungere senza l’unica persona che,idealizzata forse, aveva avuto la capacità di renderla felice ed appagata.
Recita una sua lirica che sembra un presagio..
Suonano i passi come morte cose
Scagliate dentro un’acqua tranquilla
Che in tremulo affanno rifletta
Da riva a riva
L’eco cupa del tonfo.
Il suo biglietto di addio ai genitori parla di un’invincibile “disperazione mortale” ma la famiglia negò a lungo la circostanza del suicidio, per evitare lo scandalo. Le sue prime opere vennero pubblicate un anno dopo la sua morte dalla casa editrice Mondadori, dopo essere state revisionate dal padre, che modificò soprattutto quelle dai contenuti amorosi, per evitare lo scandalo.
Tuttavia la produzione poetica di Antonia,nonostante le revisioni del padre, affascina ancora per il suo richiamo al crepuscolarismo e all’espressionismo e per quel suo essenziale verseggiare carico di malinconia .Dopo un periodo di dimenticanza anche il cinema ha posto attenzione su questa poetessa e ne è derivato un cine-documentario della regista Marina Spada dal titolo “Poesia che mi guardi” Presentato fuori concorso alla 66° mostra del cinema di Venezia nel 2009 .I registi Bonatti e Ongania hanno realizzato poi a loro volta un film documentario “Il cielo in me-Vita irrimediabile di una poetessa”e nel 2016 è stato proiettato il film di Cito Filomarino “Antonia”
E la morte non avrà più dominio. I morti nudi saranno una cosa Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente; Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse, Ai gomiti e ai piedi avranno stelle; Benché impazziscano saranno sani di mente, Benché sprofondino in mare risaliranno a galla, Benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo; E la morte non avrà più dominio.
E la morte non avrà più dominio. Sotto i meandri del mare Giacendo a lungo non moriranno nel vento; Sui cavalletti contorcendosi mentre i rendini cedono, Cinghiati ad una ruota, non si spezzeranno; Si spaccherà la fede in quelle mani E l’unicorno del peccato li passerà da parte a parte; Scheggiati da ogni lato non si schianteranno; E la morte non avrà più dominio.
Si amplificano
fogge e geometrie
addensando la percezione
d’ogni gamma di colore.
Vibra la profonda essenza
d’un talento esasperato
disarcionando
per l’occasione
antiche remore.
Si cattura la forza della vita
nell’esclusiva sua gestualità
allorchè sfiori
immagini elastiche
d’imbandite membra
fuori dal silenzio
della notte nera.
@Silvia De Angelis
Le masse non si ribellano mai in maniera spontanea, e non si ribellano perché sono oppresse. In realtà, fino a quando non si consente loro di poter fare confronti, non acquisiscono neanche coscienza di essere oppresse. Abbandonati a se stessi, continueranno, generazione dopo generazione, secolo dopo secolo, a lavorare, generare e morire, privi non solo di qualsiasi impulso alla ribellione, ma anche della capacità di capire che il mondo potrebbe anche essere diverso da quello che è.
George Orwell
Las masas nunca se levantan espontáneamente, y nunca se levantan porque están oprimidas. En realidad, hasta que no se les permite hacer comparaciones, ni siquiera se dan cuenta de que están oprimidos. Abandonados a sí mismos, generación tras generación, siglo tras siglo, seguirán trabajando, generando y muriendo, privados no sólo de cualquier impulso de rebeldía, sino también de la capacidad de comprender que el mundo también podría ser diferente de lo que es.
Voglio tornare all’infanzia. E dall’infanzia all’ombra. Te ne vai, usignolo? Vattene. Voglio tornare nell’ombra. E dall’ombra al fiore. Vai via, profumo? Vattene! Voglio tornare al fiore. E dal fiore al mio cuore Te ne vai, amore? Addio! [Al mio deserto cuore!]
A mezzo busto e con lo sguardo rivolto verso l’osservatore, come a richiamarne l’attenzione, Antoon Van Dyck si auto-ritrae con indosso un’elegante blusa di raso rosso, mentre con la mano sinistra solleva la pesante catena d’oro che gli cinge le spalle a sottolineare la sua condizione d’agiatezza economica, e con la destra indica il girasole che ha da poco finito di dipingere.
Simbolo di fedeltà, perché collegato al mito di Clizia, questo fiore, oltre ad assumere significati amorosi, negli stemmi nobiliari olandesi e inglesi indicava la fedeltà al sovrano.
Ignorando a chi fosse dedicato, non sappiamo se l’artista l’avesse dipinto per una donna o per Carlo I d’Inghilterra, per il quale nel 1633, anno della sua realizzazione, stava lavorando.
Certo è che questo autoritratto, per originalità della composizione e uso dei colori, figura fra i capolavori del fiammingo Antoon Van Dyck, nato ad Anversa il 22 marzo del 1599.
Col nostro Paese il maestro ebbe un feeling particolare perché nell’arco della sua breve vita trascorse in Italia circa sei anni, spostandosi fra Genova, Roma, Bologna, Venezia, Firenze e Palermo, per poi trasferirsi a Londra al servizio di Carlo I.
I Fiamminghi infatti, popolo laborioso che ha costruito il proprio benessere sui commerci e i traffici marittimi, sono sempre stati aperti al mondo in un proficuo interscambio non solo di merci, ma anche di idee, mode e cultura, in un quadro di generale tolleranza impregnata d’ideali calvinisti e improntata alla valorizzazione dell’essenziale, oltre che al fastidio per l’ostentazione fine a se stessa.
In quest’ottica non meravigliano gli stretti legami che in quel periodo li univano a coloro che in Italia rappresentavano un po’ i loro “gemelli”, seppure di parte cattolica: i Genovesi, anch’essi da sempre dediti al commercio ed ai traffici marittimi, laboriosi, austeri e poco propensi agli sperperi.
Così la prima tappa che il giovane Van Dyck fece durante il “Grand Tour” fu proprio Genova, dove sbarcò nel 1621 nel bel mezzo del “Secolo d’Oro” di questa città, che in quel periodo riuscì a sopravanzare per ricchezza e cultura la Firenze del secolo precedente.
Qui si mise al servizio delle famiglie del patriziato cittadino, nomi come gli Spinola, gli Adorno, i Doria, i Durazzo, i Lomellini e soprattutto i Brignole-Sale, per i quali realizzò i ritratti dei personaggi più importanti.
Molti di questi meravigliosi dipinti si trovano ancora in città e possono essere ammirati all’interno di quella straordinaria serie di Palazzi che impreziosiscono i due lati dell’attuale via Garibaldi formando la cosiddetta lista dei “Rolli”, Patrimonio dell’Umanità.
Il nostro si spostò poi a Roma dove realizzò il bellissimo ritratto del Card. Guido Bentivoglio, protettore della folta comunità fiamminga di Roma, e poi ancora a Bologna, Venezia, Firenze
e Mantova, luoghi in cui ebbe modo di ammirare quadri di Tiziano, Caravaggio, Paolo Veronese, Guercino e di chissà quanti altri artisti ancora, facendone tesoro per la propria arte.
Infine fece tappa a Palermo dove, oltre a realizzare il quadro di “Santa Rosalia incoronata dagli Angeli”, ebbe la straordinaria possibilità d’incontrare l’ultra-novantenne pittrice Sofonisba Anguissola, di cui ci lasciò un intimo ritratto eseguito a carboncino.
L’esperienza italiana gli permise d’imporsi a livello europeo come apprezzato ritrattista, tant’è che negli anni seguenti lavorò prima per la Regina di Francia Maria de Medici, e poi per Carlo I d’Inghilterra, di cui divenne il pittore di corte, trasferendosi a Londra dove sarebbe morto ancora giovane il 9 dicembre del 1641.
Fu sepolto nella londinese Basilica di San Paolo, in una tomba purtroppo andata persa in quello che, un paio di decenni più tardi , sarebbe stato il grande incendio di Londra.
Accompagna questo scritto l’”Autoritratto con girasole”, di Antoon Van Dyck, 1633, collezione privata del Duca di Westminster.
Mi piace definire questo scrittore con il titolo di un suo libro ”L’ anima non si arrende”. Marco Conti l’osservatore, l’uomo che scrive come un fiume in piena. Scrive dovunque, nelle pause dal lavoro, nelle file degli uffici, negli ascensori, lui nuota nelle sue parole, un mare di pensieri che lui sviluppa forsennatamente, senza darsi tregua. Vive intensamente nel suo aspetto poliedrico, dedicandosi anima e corpo a tutto ciò che fa parte della sua vita. Marco Conti scrittore, un uomo vulcanico, intenso in ogni cosa che fa. Le difficoltà della vita lo hanno fatto diventare anche più profondo, una persona che cammina con la propria anima, la sua anima che non si arrende, ma travolgente. Marco Conti investigatore dei moti delle emozioni, nei suoi libri esprime personaggi controversi e lui è in ognuno di loro. Il mondo dell’editoria una jungla malata, non sappiamo più distinguere, non abbiamo il discernimento e gli editori non sono più a caccia, ma di scoop. Non si vive di scrittura ,si vive di normalità, di pagine che prendono forma solo per l’amore di farlo, oggi come oggi chi scrive lo fa per amore assoluto, non per il proprio tornaconto. Leggiamo Marco Conti, scrittore, uomo dalle mille sfumature, della fatica del vivere, leggiamolo attraverso i suoi occhi entusiasti, le parole che lui ama tanto. Lui è uno, che sul serio, non si arrende.
MARCO CONTI SI RACCONTA
La passione per la scrittura, ha per me origini lontane. Fin da bambino amavo scrivere e mi affascinavano gli scrittori quelli veri, quelli che immaginavo perennemente seduti davanti alla macchina da scrivere, con una pipa in bocca e la testa immersa nei propri pensieri, nelle proprie idee. Ho scritto anche un libro, avrò avuto al massimo 10 anni. Per me è un cimelio da cui non mi sono più separato. Crescendo, ho dovuto dare sfogo a questa mia insistente idea di scrivere, di pianificare un vero e proprio romanzo e di portarlo finalmente a termine. Da allora non ho più smesso, trovo ispirazione anche da certi capolavori. Ad esempio Ad esempio Woody Allen che adoro, è un’altra mia grande fonte di ispirazione: nei suoi film, trovo sempre qualcosa su cui riflettere oltre a quel grande gusto di abbinamento fra fotografia, musica e storia che secondo me non ha eguali. In uno dei miei libri c’è un po’ tutto questo e c’è anche una parte di me
La mia intervista a MARCO CONTI
Dietro ogni scrittore c’è un uomo, unico nella propria identità di persona. Marco Conti chi è?
Quello che penso di essere è una persona molto vera che guarda la realtà, si può dire che una cosa che mi piace fare è osservare come si comporta la gente, come come girano le cose insomma e da questo trarne sempre spunto, ritengo anche di essere una persona che ha avuto i suoi bei bei colpi di scena pesanti, ma ho sempre cercato di trarne un messaggio positivo, mi danno fastidio le persone che danno tutto per scontato e che sia sempre tutto negativo eccetera. Ti faccio un esempio banalissimo. Ho sempre sentito parlare male dell’Italia tutto va tutto sempre tutto storto sempre tutto uno schifo eccetera. Quando è capitato a mio figlio mi sono reso conto che tutto il percorso che ha fatto, non ho tolto di tasca un euro e ne ha fatte veramente tante . E quindi dico queste cose,ma chi ne parla? Nessuno. E in più abbiamo una struttura qui a Bergamo che è veramente l’eccellenza. E anche di questo non si sente parlare, senti più la gente che critica tutto ecco, io non non sono così. Io cerco sempre di tirar fuori il buono da da tutto, ecco.
Da quando scrivi? Come hai scoperto la tua vena letteraria?
Si può dire che scrivo da sempre infatti sul mio blog, ho anche pubblicato il mio primo romanzo che ho scritto in quarta elementare con tanto di commenti della maestra E non ho non ho mai mollato . All’ età fra i sedici e i diciassette anni avevo in testa tutt’altro, ero più improntato a uscire con gli amici eccetera, quindi diciamo che l’ho un po’ abbandonato. Però una volta che mi sono sistemato, sposato, ho ricominciato a tempo pieno a scrivere, io scrivo spesso, giornalmente, la parola giusta è avere bisogno di farlo, ogni giorno scrivo qualunque cosa mi accada ,ogni giorno scrivo. Non ho scritto una sola parola, nel periodo in cui ero piegato dal dolore per quello che stava succedendo alla mia famiglia, non mi staccherò mai da questa passione , non ho bisogno di cose particolari o di guadagnarci , io scrivo perché ho bisogno di scrivere.
Quando hai scritto il primo libro a cosa ti sei ispirato? Quale storie preferisci raccontare?
Il mio primo libro è” in equilibrio sopra la follia ”, l’ispirazione è arrivata da una frase di una delle più belle canzoni di Vasco Rossi , a cui mi sono ispirato …la vita è un brivido che vola via è tutto un equilibrio sopra la follia… in questa frase c’è la vita, il bello è il brutto dalla vita, Vasco Rossi veramente è uno di quei cantanti le cui canzoni si può dire che sono la colonna sonora della mia vita, nel senso che ogni periodo della mia vita, i ricordi sono legati a una canzone di Vasco Rossi, quando l’ho ascoltata la prima volta è stata un’esplosione , per me, una frase potentissima e mi ha fatto riflettere su tante cose quindi sono arrivato a questo primo romanzo, che per assurdo è l’unico che ho ancora nel cassetto e su Amazon, ma da rivedere. Ho avuto una prima brutta avventura con un editore a pagamento con questo mio primo libro. Forse il migliore di quelli che ho scritto fino adesso è” l’anima non si arrende” forse anche più interessante perchè venuto fuori da una riflessione sugli scrittori che scrivono solo per fare cassa.
Marco, tu lavori, hai una famiglia, hai anche qualche hobbyes ? Come fai a conciliare tutto?
il mio hobby è la scrittura non ne ho altri perché già quello mi occupa tutto il poco anzi pochissimo tempo libero che ho fra lavoro e famiglia. Ovviamente leggo anche molto…ma quello lo faccio di notte
Praticamente non dormi mai o molto poco. Mi hai raccontato un brutto momento della tua vita, vorrei che mi specificassi come è cambiata la tua visione sulla vita.
Mi ha cambiato molto. La mia visione della vita diciamo che è limitata al presente. Se prima stavo a farmi mille progetti per il futuro, ora preferisco concentrare le mie energie sul presente godendomi ciò che ho di buono. Il 2020 mi ha aperto gli occhi. Non sono più la persona che ero e se da una parte ho perso qualcosa, dall’altro l’ho guadagnato perché so bene quali sono le cose che contano e vado avanti per la mia strada senza pensare a cosa pensano gli altri di me.
Il tuo difetto più grande, sincero però!
Cerco di dare sempre il 101 per cento in tutto quello che faccio. Non sono mai soddisfatto e faccio parecchia autocritica…forse troppa. Non so contare fino a due: quando mi arrabbio esplodo e dove colpisco colpisco. Però so anche chiedere scusa.
Oggi per uno scrittore, anzi per chi sa scrivere, è veramente difficile, questo perchè il web è pieno di persone che non lo sa fare, il mondo dell’editoria pensa solo a fare cassa con qualche nome famoso. Vorrei la tua opinione.
Molto deluso dell’editoria . Per noi esordienti quasi sconosciuti c’è ben poco spazio. Ora ho riposto le mie speranze negli editori con cui sto pubblicando uno dei quali in particolare è della mia città…speriamo.
Nel nostro paese si legge pochissimo, come ovvieresti a questo problema?
Mi piacerebbe che venissero sensibilizzati di più i bambini e i ragazzi con iniziative che li spingano a leggere. Con i miei figli lo faccio. Sono loro il futuro.
Se ti identificassi con un personaggio di un libro, chi vorresti essere?
Mi identifico sotto alcuni punti di vista col protagonista de “L’anima non si arrende” perché si aggrappa alla sua passione per dare un senso alla sua vita è perché alla fine è una persona che sa dare una seconda possibilità a chi sbaglia…io lo vedo come segno di forza!
Il libro del cuore di Marco Conti è ” l’anima non si arrende”, c’è poco o tanto di lui? Sicuramente leggerlo sarà una scoperta.
L’ANIMA NON SI ARRENDE. Una lettera, un improvviso tuffo nel passato per Matteo; scrittore di successo abbandonato da Sabrina e dall’ispirazione, che accetta l’invito dello zio Nicola: recarsi a Parigi per ascoltare le ragioni della sua sparizione, avvenuta quando Matteo era ancora bambino. Il viaggio a Parigi sarà l’occasione per riallacciare i rapporti col fratello Francesco e per riconciliarsi con il passato. Ad aspettarlo non sarà però Nicola, ma una scoperta inquietante. Emma, la sua compagna di viaggio, gli stravolge la vita; scompare, ma (forse) non per sempre…
Julio Cortázar, all’anagrafe Julio Florencio Cortázar Descotte (Ixelles, 26 agosto 1914 – Parigi, 12 febbraio 1984), è stato uno scrittore, poeta, critico letterario, saggista e drammaturgo argentino naturalizzato francese, maestro del racconto, particolarmente attivo nei generi del fantastico, della metafisica, del mistero.
E quando tutti se ne andavano e restavamo in due tra bicchieri vuoti e portacenere sporchi, com’era bello sapere che eri lì come una corrente che ristagna, sola con me sull’orlo della notte e che duravi, eri più che il tempo, eri quella che non se ne andava perché uno stesso cuscino e uno stesso tepore ci avrebbero chiamati di nuovo a svegliare il nuovo giorno, insieme, ridendo, spettinati.