Controluce: ”giornata della memoria”, ovvero l’olocausto, ovvero le nefandezze di cui siamo capaci. Giornata della memoria nel secchio

Date: 27 gennaio 2023Author: irisgdm0 Commenti— Modifica

Articolo di Marina Donnarumma. Roma 27 gennaio 2023

La farfalla della gentilezza

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«Donne e bambini si tolgano le scarpe, prima di entrare nella baracca. Infilate le calze nelle scarpe. Quelle dei bambini dentro i sandali, le scarpe o gli stivaletti. Ordine, mi raccomando». E di nuovo: «Portate nei bagni gioielli, documenti, denaro, asciugamano e sapone… Ripeto…». Dentro la baracca femminile c’è la parrucchiera; nude, le donne vengono rasate a zero, alle più anziane tolgono la parrucca. È un momento strano, psicologicamente: le addette hanno poi sostenuto che di solito quella rasatura ante mortem convinceva le vittime che davvero sarebbero andate a lavarsi. Le più giovani si tastavano il cranio e, sentendo qualche punta ispida, capitava che chiedessero un ritocco. Solitamente dopo la rasatura le donne erano più tranquille, tutte o quasi lasciavano la baracca con in mano un pezzo di sapone e un asciugamano piegato. Tra le più giovani qualcuna piangeva le belle trecce perdute. Perché le rasavano? Per illuderle? No, perché la Germania aveva bisogno dei loro capelli. Erano materia prima… Ho chiesto a diverse persone che cosa se ne facessero, i tedeschi, della montagna di capelli che rasavano a quei cadaveri ancora in vita. Tutti i testimoni riferiscono che cumuli enormi di capelli neri, biondi e color dell’oro, di riccioli e di trecce venivano sottoposti a disinfezione, pressati nei sacchi e spediti in Germania (…)

Nude, le vittime vengono condotte a uno sportello, la «cassa», dove sono invitate a consegnare documenti e preziosi. E la solita voce ipnotica grida: «Achtung! Achtung! Chiunque venga scoperto a nascondere gioielli verrà ucciso! Achtung!».

Qui, alla «cassa», la svolta decisiva – qui finisce la tortura della menzogna che tiene le vittime in uno stato ipnotico di incertezza, in un delirio febbrile; nell’arco di qualche minuto si passa dalla speranza alla disperazione, da visioni di vita a visioni di morte. La tortura della menzogna era un elemento chiave nella catena di montaggio della morte, facilitava il lavoro delle SS. Ma quando sopraggiungeva l’atto finale, l’ultimo saccheggio di quei cadaveri ambulanti, la musica cambiava. E allora i tedeschi spezzavano le dita per strappare gli anelli alle donne, o laceravano loro i lobi per portarsi via gli orecchini.

Il tragitto dalla «cassa» al luogo dell’esecuzione richiede qualche minuto in tutto. Spronate dai colpi, stordite dalle grida, le vittime arrivano su un terzo piazzale e per un istante si fermano, interdette.

Il silenzio sopraggiungeva quando le porte delle camere a gas venivano chiuse. E le grida ricominciavano quando arrivava un nuovo lotto di donne.

Due, tre, quattro, anche cinque volte al giorno. Perché Treblinka non era un semplice luogo di morte. Era una fabbrica di morte, una catena di montaggio improntata a quelle della moderna produzione industriale su larga scala.

***

Queste parole sono di Vasilij Grossman, scrittore e giornalista sovietico, che nel 1944 entrò nel campo di sterminio di Treblinka, dove poté toccare con mano la ferocia nazista.

Non occorre aggiungere altro.

🦋 La farfalla della gentilezza 🦋

(La citazione è tratta da: Vasilij Grossman, L’inferno di Treblinka, Adelphi, 2013)

Ho preferito cominciare con questa condivisione della mia amica blogger della ” La farfalla della gentilezza”, uno dei tanti che raccontano l’orrore e mi lasciano inorridita, stupefatta, per questa umanità che si perpetra nell’orrore e poi ricorre alla ” giornata della memoria” per sgrullarsi un pò di sensi di colpa, alla fine chi non ha proprio colpa ha questi sensi di colpa, completamenti sconosciuti alle menti più abbiette nate su questo pianeta. Nei campi di concentramento prestarono servizio 55.000 guardie, circa 5000 erano donne. Una follia collettiva, che mi spaventa da morire, nessuno si mosse a pietà? forse qualcuno lo fece, ma il risultato furono morti e morti senza distinzioni, fame, torture, violenze, esperimenti, docce di gas, uomini e donne disumanizzati, perseguitati ridotte a larve, scheletri, giorno per giorno. La speranza morta per tanti, il dolore, la sofferenza. Raccontare, ricordare, raccontare di nuovo e poi? Personalmente ricordare mi fa male, troppe cose ho letto, troppe testimonianze di questo orrore!

Oggi è la giornata della memoria, una delle tante dove l’umanità, non ha nulla di umano.Gli uomini non hanno memoria delle loro nefandezze, tanto è vero che non le ricordano, continuano a farle e nel momento in cui le fanno le innalzano a patriottismi, guerra, con la scusa, c’è una scusa? L’uomo è l’animale più pericoloso, in assoluto della terra. L’ uomo, di cui parlo, ha solo una legge, potere e soldi, al di sotto e al di sopra non esiste altro dio che questo, potere, denaro e speculazione, un uomo per cui ” l’altro non conta” solo carne da macello.

Non avevo mai visto un carro di bestiame

e lì il mio inferno.

Un orrore di corpi morti su corpi vivi.

L’odore nauseabondo di umanità bruciata,

cadaveri vivi con piaghe marciscenti.

Ce l ho con te, mio Dio!

Dove sei!

Perchè questo male!

Ho fame ma, non lo posso dire,

ho sete ma,sto zitta,

ho dolore ma,sono in silenzio.

Dio mio!

Bambini come frecce lanciati in cielo,

senza vita sulla terra come un fiore triste

che ha perso la corolla di pochi stracci

e pochi anni!

Vivere ma, sei morta di mille morti

e non vorresti il respiro.

Ho la testa bassa, il mio cranio nudo

e io sono donna o sono uomo,

un umanità indistinta,

senza nome,

senza sesso, carne da macello ,

marchiata come bestie.

Le lacrime scavano solchi profondi

ma,il dolore urla muto disperato,

ce l’hai tutto negli occhi e nell’orrore

senza fine.

Sai ti ho pregato Dio!

Ho chiesto di te!

forse troppo debole per sentirti,

forse le nostre urla ti hanno distratto

dalle nostre preghiere.Iris G. DM

Potrebbe essere un'immagine raffigurante monumento

Ho il volto pallido della morte

di chi viaggia in piedi,

assiepata come bestiame,

lercia di letame.

Ho il seno sporco di latte

sangue che scivola tra le gambe,

le mie braccia chiudono

la mia creatura senza respiro.

Ho il volto del terrore,

ho l’odore nauseabondo di fumo nero oleoso.

La mia identità un numero impresso nelle carni.

Hanno rasato la mia testa,

la mia testa!

Non ho capelli,

sono vestita della mia pelle troppo grande,

i miei piedi strusciano nel fango,

il mio corpo solo fango,

i miei occhi vedono solo cadaveri

che camminano,

sono un pigiama a righe

che veste un mucchio d’ossa scarnificate

da lacrime e dolore. Shoah. Iris G. DM

Articolo di Marina Donnarumma. Roma 27 gennaio 2023

E’ arrivata una letera!!

Di Frida la loka, Lombardia

27 gennaio, Giornata della memoria

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Cara Anne, lo so di averti lasciata un po' nell" oblio, ma sai, qui le cose non vanno tanto bene, non abbastanza come dobrebbero e se ci fosti, sicuramente saresti molto delusa degli uomini. Cosicché colgo questo ritaglio di tempo d'una giornata sicuramente particolare per molta gente, oserei dire per il mondo, anche sé, il mondo tutto non lo sa, oppure ha dimenticato o peggio, se ne frega. 

Eh sì Annuccia; perché da quel momento in poi sappi che non fu mai più lo stesso e purtroppo non hai avuto la possibilità di venirne a conoscenza.
Cercherò di essere poco noiosa, (sei una ragazza inteligente), oggi voglio dedicarti un pò d'attenzione per farmi perdonare,spero ti faccia piacere o almeno, ti raserene sapereche che per quanto sia passato del tempo qualcuno ancora s'interessa di chiarire come fu una parte importante della nostra storia, della tua!

Ti ricordi?! Se ho iniziato  a scrivere, quando avevo più o meno la tua età, è soltanto grazie a te; e le tue preziose pagine, che poi divennero un libro, ma questo te l'ho avevo già detto.

Sai Anne cara, tempo fa, son venuta a conoscenza che una scrittrice importante, ha raccolto in un libro, tantissima  informazione, si parla sul fatto di chi rivelò il vostro nascondiglio segreto, come lo chiamavi. Cinque anni e una squadra investigativa composta da quasi duecento persone!!! Hai capito?! Ahimè... alla tua età, diventata famosa, tu diresti sicuramente, -dovuto a cosa?!, già tì sento!! Grazie alla preziosa e minuziosa informazione che col inchiostro è senza rendertene conto ci stavi lasciando come legado.

Dolce Anne, siete stati traditi d'un altro ebreo, come te, come tuoi famigliari e "coinquilini ", triste già, sarai rammaricata oppure sconcertata e ti capisco...

Ma non uno qualsiasi, tale "signore " chiamatosi, Arnold van den Bergh, notaio ebreo, membro del Consiglio ebraico di Amsterdam, sposato con tre figlie.

Pare facesse parte della commissione del Consiglio ebraico che, su ordine dei nazisti, doveva selezionare i nomi degli ebrei da inserire nelle liste di deportazione.

Era molto facoltoso sai!, era riuscito a farsi inserire nella lista del tedesco Hans Georg Calmeyer che, ufficialmente, addirittura dichiarò la sua non appartenenza alla razza ebraica. Per questo, nonostante il decreto nazista che obbligava i notai ebrei olandesi a cedere la loro attività, Arnold van den Bergh poté svolgere il suo lavoro fino al gennaio del 1943, fino a quando un collega ariano, destinato a occupare il suo studio, J. W. A. Schepers, lo denunciò alle SS e gli fece perdere i suoi privilegi.

Probabilmente, a questo punto, sarai un pò seccata? Forse, ma ho pensato che quello che v'è capitato e non solo a voi, è stata una tragedia imanne. E mi dirai, - ma è passato del tempo, a cosa serve oramai sapere, ricordare?, e io ti dirò una frase scritta da un signore, Primo Levi, che subì come te, perché ebreo, ma
sopravvisse e divento una scrittore! Pensa te, il tuo sogno! E recita,

《"L'Olocausto è una pagina del libro dell'Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria"》.

Bene! Chissà cosa continuerai a scrivere, là, dove tu sia; spero siano cose colorate, radiose e piene di emozioni.

Ti abbraccio forte, carissima.

Ps: Sono molto soddisfatta di averti scritto e sedermi con te per terra sui pavimenti in legno, con le gambe incrociate come indiani, mentre tiepida filtra un raggio da qualche fessura
Credo essermi ritagliata un pò "troppo " di tempo, alla prossima.

Tua.
27 gennaio, 2023.

Dal blog personale

http://fridalaloka,com

Rippublicato su

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Giornata della Memoria. Edith Bruck, “Quel pensiero”- Per non dimenticare mai, di Caterina Alagna

In occasione della Giornata della Memoria ho deciso di condividere i versi di una grande scrittrice e poetessa, testimone ancora vivente della Shoah, che con la sua arte ha raccontato l’orribile e disumana esperienza vissuta nei campi di concentramento di Auschwitz, Dachau e Bergen Belsen. Sto parlando di Edith Bruck e la poesia che ho scelto è un estratto del canzoniere ” Il Tatuaggio” (1975) ed è dedicata a sua madre. 

Quel pensiero


Quel pensiero di seppellirti
te l’hanno tolto con almeno trent’anni di anticipo!
Abbiamo avuto una lunga festa d’addio
nei vagoni stivati ​​dove si pregava dove si facevano
i bisogni in fila dentro un secchio
che non profumava del tuo lillà di maggio
e anche il mio Dio Sole ha chiuso gli occhi
in quel luogo di arrivo il cui nome
oggi irrita le coscienze, dove io e te
restano sole dopo una selezione
mi desti la prova d’amore
sfidando i colpi di una belva umana
anche tu madre leonessa a carponi
per supplicare iddio maligno di lasciarti almeno l’ultima
la più piccola dei tuoi tanti figli.
Senza sapere la tua e la mia destinazione
per troppo amore volevi la mia morte
come la tua sotto la doccia
da cui usciva un coro di topi
chiusi in trappola.
Hai pensato alla tua piccola con quel frammento
di coscienza risvegliata dal colpo
del portoncino di ferro
con te dentro il mio pane amato mio pane bruciato!
O prima ancora
sapone paralume concime
nelle mani parsimoniose di cittadini
che amano i cani i poeti la musica
la buona letteratura e hanno nostalgia
dei familiari lontani.

Questi versi dal linguaggio forte e viscerale sconquassano la coscienza del lettore. Bruck descrive a chiare lettere, anche brutali, l’orrore dell’Olocausto, con immagini incisive che hanno la forza di scene cinematografiche. Quella di Edith Bruck è una poesia che esprime tutta la disperazione vissuta sulla pelle, il dolore per la morte della madre, diventata concime o sapone nelle mani di tante persone, ignare dell’orrore che si consumava in quei luoghi di sterminio.  Quella di Bruck è una poesia fatta di sangue e dolore, sempre vivi e pronti a travolgere l’anima della poetessa. Siamo di fronte a una memoria del presente. Per Bruck la Shoah non rappresenta un fatto passato, ma un male che è ancora capace di logorare l’anima e la carne dei sopravvissuti. La scrittura diventa quindi un monito per tutti i popoli della terra: tenere viva la memoria affinché mai più si ripeta quello che è accaduto. Come lei stessa afferma: ” La memoria è vita per me. La memoria dovrebbe essere vita per tutti. Non possiamo cancellare il passato perché il passato è il nostro presente e il nostro presente sarà il nostro futuro. Il tempo è uno. Credo che la memoria riguardi tutta l’umanità, non solo coloro che sono stati deportati. Purtroppo dobbiamo parlare sempre noi perché gli altri vorrebbero appiattire, cancellare, allontanare, respingere, mistificare, rimuovere“.

Edith Steinschreiber, poi Bruck, nasce nel 1931 da una povera famiglia ebrea, in uno sperduto villaggio dell’Ungheria. Da bambina viene deportata in vari campi di concentramento, tra cui quello di Aushwitz. Sarà liberata, insieme alla sorella, nel 1945. I suoi genitori, un fratello e altri familiari non sopravvivono. Dopo la liberazione ritornerà in Ungheria, dove inizia la sua carriera di scrittrice raccontando l’orrore agghiacciante che ha vissuto.  Ma ben presto scopre che le sue parole non sono accolte come spera. Nessuno s’interessa a quello che scrive, nessuno è disposto ad ascoltarla. Decide allora di lasciare il paese, dando inizio al suo pellegrinaggio. Prima tenta di raggiungere una delle sorelle maggiori (salvate da Perlasca) in Cecoslovacchia, ma il tentativo fallisce. Poi nel 1948, con la nascita del nuovo Stato di Israele, piena di entusiasmo vi si trasferisce. Qui, per evitare il servizio militare obbligatorio, si sposa assumendo il cognome che ancora oggi porta. L’entusiasmo da cui è animata, però,  svanisce ben presto. I conflitti e le tensioni dello Stato di Israele la deludono e così nel 1954 decide, ancora una volta, di trasferirsi. Questa volta in Italia, a Roma, dove tutt’ora risiede. Qui sposa il poeta Nelo Risi, con cui instaurerà un’importante  storia d’amore che darà vita anche a un sodalizio artistico. Ha scritto tutti i suoi romanzi in italiano. Ha pubblicato diverse raccolte poetiche in cui narra la sua esperienza di sopravvissuta all’Olocausto.

Babi Yar di Nina Kossman (trad. Paolo Statuti)

A proposito di Olocausto

almerighi

 E’ nata a Mosca. Durante la guerra molti membri della famiglia del padre morirono nell’Olocausto a Riga (Lettonia), mentre molti familiari della madre morirono nell’Olocausto in Ucraina, dove allora vivevano. Nel 1972 con la famiglia emigrò dall’Unione Sovietica. Dopo un anno trascorso tra Israele e Roma, si stabilì prima a Cleveland e poi a New York, dove tuttora vive.
     Ha pubblicato tre raccolte di poesie in russo e in inglese, due raccolte di racconti e un romanzo in inglese. 

Babi Yar
.
La madre diceva tua sorella mi fa impazzire,
ma dov’è, oggi andiamo tutti a morire.
I fritzi* bussano alla porta, dobbiamo uscire.
Presto, svelto, perché quei libri, che te ne fai,
là dove andremo a stare non li userai mai.
Sei sempre l’ultimo, figlio mio, continuava a dire.
Ecco, sono pronti, ma ora lui vuole dormire!
Dormirai là dove ci porta la nostra stella.
Lascia i libri…

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l’ora dell’inizio

Vi ho amati? Male forse,
ma eravate miei!
ogni oggi forse ho sbagliato 
con voi
eravamo gli inizi

Passavamo insieme
le ore, i giorni
ci assaggiavamo cannibali
come cibo per la nostra carne.
eravamo gli inizi

soffrivamo insieme
le lacrime, i dolori
la strana voglia di farla finita e 
la sua gemella: quella di 
di continuare
con almeno qualcuno di me
eravamo gli inizi

In attesa di chi?
Di noi certo, ma di noi nuovi
facevamo dei cenni
tracce di roccia tra
la bocca e il cuore

E siamo ancora in attesa
l’uno con l’altro
l’uno per l’altro 
della nostra novità
di quell’inizio che eravamo

L’ andare via ha sempre un ritornare
va sù, poi giù
disegna come un cerchio magico che
non si chiude mai.

La storia dell’ amore
forse, 
non ci ha toccati.
Ma io vi ho amati.