Feci dei ricordi un giardino

Di Frida la loka(Lombardia)

Ne avevo tanti… già, sin da quand’ero piccola, alcuni sbiaditi con il passar del tempo, altri avrei voluto proprio cancellarli con qualcuno sono riuscita,
e quelli immancabili dove voglio ancora oggi tuffarmi, perché puri, nobili, sinceri, pieni d’affetto, amore e perché no passione.

I ricordi non li possiamo maneggiare come cartelle in ufficio; non possono essere classificati, belli, meno belli, brutti…

Sono sempre in aguatto, di quando in quando giungono, sempre senza preavviso, ti fanno sorridere a creppa pelle e mille volte piangere, non solo di malinconia…

Parlano, parlano d’un tempo che fu, parlano di passato, immagini che trafiggono il cuore che pensavi non siano mai esistiti..

Uno dei tanti ricordi è, che ho accumulato una quantità non indifferente perciò, ho deciso di starne un pò alla larga e ho fatto un giardino chiuso con un lucchetto in bronzo. A volte penso d’essere troppo rigida e torno adagio; oltre i miei fiori e cespugli preferiti.

Tolgo il lucchetto, apro la porticina e le cerniere fanno il classico rumore di mancanza di cura, do uno sguardo intorno a me, una tiepida brezza, con profumo di libri ingialliti mi da il benvenuto, il cappello vola dalla mia testa e oscilla fra foto vecchie, fa un giro di farfalla e compare sul muretto che divideva casa mia con quella dalla vicina.

Poi impazzita dalla mia presenza ruota e cambia direzione, mi porta verso un cielo stellato e mi ci vedo sdraiata sul pratto, nel buio della notte, sdraiata, fa caldo, ho solo una leggera camiciola in raso, le braccia incrociate dietro la testa e naso in su e le palpebre che aprono e chiudono lentamente, e le pupille che rimpicciolliscono e allargano, non perdono le sconfinate forme che le stelle formano…

D’un tratto, tutto è finito. Si vede che il lucchetto è tornato al suo posto, la prossima occasione porterò con me un rametto dei fiori del sentiero che conduce al giardino e dell’olio!, per aggiustare la porta… tuttosommato, son parte di me; anche d’essi, dovrei prendermi cura.

Tua.

31 dicembre, 2022

Ripubblicato su

http://alessandria.today

Ljubjana di Peter Semolič

I poeti sloveni hanno una marcia in più

almerighi

È nato nel 1967 a Ljubljana, dove tutt’ora vive.

Mi ha turbato
non sapere
in quale senso corre il fiume
della mia città natale.
Sedevamo sulla riva
sinistra o sulla destra
quando smaniavo
di ottenere un posto
nel tuo letto
e assieme l’assoluzione
per il mio cuore?
Tu sapevi tutto questo.
Hai detto: “Niente giochetti.
L’amore si muove
in armonia con la sua
natura. Come il fiume”.
Quando te ne sei andata,
non sapevo stabilire
la tua direzione.
Andavi verso la fonte,
verso la foce?
Dove dovrei cercarti…
Voglio credere che il mondo
finisca da qualche parte e che là
tutte le acque precipitino
fragorose in un abisso
senza fondo.

*

View original post

Due parole sull’equilibrio, sulla scrittura e sulla creatività…

Secondo le teorie degli umori di Ippocrate e Galeno la salute dipende dell’equilibrio degli elementi nel nostro organismo. Lo stesso vale per la medicina ayurvedica. Nella medicina cinese Yin e Yang determinano l’armonia degli opposti. In fisiologia e nella cibernetica un concetto portante è quello di omeostasi. In psicologia abbiamo la teoria dell’equilibrio cognitivo di Heider. Insomma, da che mondo è mondo, lo  squilibrio porta al male. Il deficit e l’eccesso sono considerati negativamente.  Forse Aristotele ha condizionato in modo determinante tutti gli altri con il suo concetto di giusto mezzo. Forse, più semplicemente,  è un dato di fatto incontestabile e incontrovertibile che l’equilibrio è bene e lo squilibrio è male,  anche se spesso neanche si cercano le prove che l’equilibrio sia benessere e lo si assume come postulato di molte teorie. Anche gli stessi latini sostenevano che nella media sta la virtù. Comunque secondo la fisica la sintropia è bene e l’entropia è sciagura infinita, detto in parole povere.  Il cambiamento fa paura a molti ad esempio perché non solo può far raggiungere l’equilibrio ma anche perché può romperlo. La vera difficoltà in cui ci imbattiamo tutti è che nella vita l’equilibrio è sempre precario, che basta poco per perderlo, che è difficile raggiungerlo. Non sta a noi giudicare una persona positivamente perché la consideriamo equilibrata o negativamente perché squilibrata. È difficilissimo valutare in questi casi. Nella scrittura molti artisti devono la loro creatività a uno squilibrio neurochimico o psicologico. È proprio quello che li porta a creare. Una volta creata un’opera viene ripristinato l’equilibrio psicologico. Ma bisogna tener presente che non possono sempre far riferimento a questa abreazione, a questa valvola di sfogo. Talvolta non è sufficiente.  Talvolta l’equilibrio non viene raggiunto e si entra in una crisi interiore senza precedenti. Affidarsi unicamente alla scrittura può essere negativo, controproducente. Alcuni artisti tollerano anche l’intollerrabile, ovvero il loro grande squilibrio psicologico,  per non perdere la creatività. Ma è forse giusto sacrificare tutti sé stessi in nome di un’arte presunta? A mio avviso è puro masochismo.  Bisogna invece avere il coraggio e l’umiltà di chiedere aiuto a uno specialista,  anche se non tutti gli specialisti sono competenti, empatici, etc etc. È meglio un equilibrio indotto, artificiale di uno squilibrio naturale. È meglio un equilibrio che appiattisce psicologicamente e che inizialmente toglie un poco di creatività artistica, che verrà recuperata dopo qualche mese, piuttosto di uno squilibrio molto creativo. A volte bisogna sacrificare un poco di arte per la qualità della propria  vita. È la vita e non l’arte che deve essere messa al primo posto. Primo vivere, dopo scrivere.  È bene non fare come Oriana Fallaci, che non curò il suo cancro perché doveva scrivere un libro (o così almeno lei dichiarò). In fondo la felicità sta nel raggiungimento di un equilibrio interiore invece che in pochi momenti puntuali di creazione artistica. E di solito grazie al perseguimento dell’equilibrio interiore si approda a nuove dimensioni dello spirito o almeno a nuova consapevolezza esistenziale, che porta a nuova ideazione e creatività. 

Controluce: lo spirito di fine anno…

Date: 30 dicembre 2022Author: irisgdm0 Commenti— Modifica

Articolo di Marina Donnarumma 30 dicembre 2022. Roma

Oggi è 30 dicembre, un anno praticamente finito, un anno dove l’inflazione ha galoppato non solo a ritmo sostenuto, ma sta in bella corsa, ovviamente il traguardo non contempla la vittoria, ma lo sfinimento e la morte del cavallo.


Tutti parlano di tutto, tutti hanno la soluzione, tutti tuttologi esperti, laureti in quella facoltà dove si studia per obnubilare la gente. Mi viene in mente che è d’obbligo fare gli auguri, allora potrei cominciare con la pandemia, che ci ha spossato fisicamente e psicologicamente, a tutte le persone che hanno in fallimento le loro attività, che comunque sono protestati e con il fiato sul collo dello stato rapace.

A tutto un mondo di persone che sono rimaste senza lavoro, alle serrande chiuse, alle tasse che non finiranno mai di pagare e di contro l’esclusione totale a fare altro. Auguri a tutte le banche che fanno i loro interessi, si prendono gli interessi, leccano il culo ai ricchi e prendono a calci i poveri. Auguri ai poveri che non ce la faranno mai, perchè è giusto che siano destinati a sparire per sempre. Auguri a tutte le categorie che non hanno voce, auguri a tutte la corruzione che viaggia spedita in ogni ufficio, che sottrae milioni di euro e poi i disgraziati sono i poveracci che si arrabbattano per campare. Auguri a tutti quelli che prendono 600 800 euro al mese, che non ce la fanno ad avere una vita, non possono pagare un affitto, una macchina, e lavorano almeno 10 ore al giorno, senza che siano pagati gli straordinari. Auguri agli stipendi che non aumentano mai, ma il costo della vita è giusto che aumenti a dismisura. Auguri alle tasse che ci attanagliano, ci stringono, ci strangolano e a tutti quelli che si sono suicidati per la situazione economica

Auguri ai due clochard che hanno avuto una figlia e l’ hanno data in adozione perchè vivono per strada, auguri a chi non ha una casa e vive con la famiglia in macchina.

Auguri a chi muore di fame e sotto le bombe, alle donne uccise e negate per un velo, auguri a tutte le donne che non possono studiare.


Auguri a chi è malato e non ha soldi e non si può curare, auguri a tutta l’ingiustizia che regna e regnerà. Auguri a tutti quelli che hanno pagato una rata in ritardo e non si potranno permettere le rate di qualsiasi cosa. Auguri ai ragazzi che finiscono in carcere, che prendono farmaci per calmarsi e per dormire, auguri quindi a questa società di merda che non si domanda perchè c’è stato lo sbaglio, ma solo la punizione. A proposito non sapete che la permanenza in carcere si paga? Ebbene si, quando qualcuno si fa un periodo in carcere deve pagare le spese allo stato. Auguri a tutti gli imbonitori e alle false promesse, auguri al degrado della scuola e dei valori morali. Auguri a tutti quelli che bullizzano e continueranno a farlo indisturbati. Auguri a quelli che scrivono ” propio” invece di proprio, e a quelli che fanno della lingua italiana un infame minestrone. Auguri a tutti talk show monnezza, dove litigano, si insultano, e sono un ottimo esempio. Auguri a tutta la classe politica corrotta, che non sa come si vive nella normalità, che non sanno quanto costa una spesa, che hanno ville, barche, jet privati e di tutto di più.

Auguri alle foreste deforestate, bruciate, ai mari, fiumi ogni corso d’acqua inquinato, intossicato, impoverito. Auguri a tutti i mistificatori, mercificatori di sentimenti, ai narcisisti che invadono il mondo, ai trafficanti d’organi e degli esseri umani, agli spacciatori, agli assassini, agli adoratori del ”dio denaro”, ai papponi e alle prostitute, a tutti quelli che degli uomini fanno carne da macello. Auguri ai barboni sotto i ponti, agli immigrati che scappano dal degrado della loro terra, che contiene grandi ricchezze sfruttate dall’occidente.

Auguri ai ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre piu poveri, chi ha fame, sete e non frega un bel niente a nessuno. Auguri alle false parole vomitate da finti buonisti, che saccheggiano, approfittano di onlus a scapito dei disperati. Potrei continuare all’infinito, sicuramente ho scordato qualcosa e qualcuno si salva, ad esempio la povera terra, devastata, calpestata, rovinata dall’animale più avido, crudele, pericoloso ” l’uomo”.


Auguri a chi non ha voce, agli invisibili, a quelli che si svegliano la mattina all’addiaccio, tra l’indifferenza del mondo, auguri a chi è ancora capace di amare, e lo fa con il cuore.

Quindi auguri a chi il cuore ce l’ha, pochi di sicuro, ma sono i portatori di speranza. Auguri a chi crede ancora nei sogni, anche se non potrà realizzarli e auguri a chi i sogni non ce li ha, troppo occupati ad infilarsi nelle miniere di cobalto e lavorano 12 ore al giorno senza avere quasi da mangiare. Auguri a chi fa la guerra per un pezzo di terra, a tutte i mercanti d’armi che si ingrassano sulla morte. Auguri a chi muore, a chi morrà per una verità. Auguri ai grandi della terra, che in realtà sono piccoli e meschini Auguri a tutti noi, che possiamo essere orgogliosi di tutto quello che abbiamo fatto e facciamo. Auguri perchè ogni anno non cambia nulla, che siamo ad un passo dall’abisso, auguri al vicino a cui se vivi muori non importa. Auguri all’amore, alla carità, alla compassione, alla misericordia che sicuramente pochi hanno, che dire? L’amore salverebbe il mondo, ma beato chi ci crede.


Buon fine anno e buon inizio a tutti.

Articolo di Marina Donnarumma Roma 30 dicembre 2022

Cultura. Poesia:” Ode al primo giorno dell’anno” di Pablo Neruda.

Lo distinguiamo dagli altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte lo andiamo a ricevere
come se fosse un esploratore
che scende da una stella
.

Come il pane assomiglia al pane di ieri.
Come un anello a tutti gli anelli: i giorni
sbattono le palpebre
chiari, tintinnanti, fuggiaschi,
e si appoggiano nella notte oscura

Vedo l’ultimo giorno
di questo anno
in una ferrovia, verso le piogge
del distante arcipelago violetto,
e l’uomo
della macchina,
complicata come un orologio del cielo,
che china gli occhi
all’infinito
ripetersi delle rotaie,
alle brillanti manovelle,
ai veloci vincoli del fuoco.

Oh conduttore di treni
fuggiasco
verso stazioni
nere della notte.
Questa fine dell’anno
senza donna e senza figli,
non è uguale a quella di ieri, a quella di domani?

Dalle vie
e dai sentieri
il primo giorno, la prima aurora
di un anno che comincia,
ha lo stesso ossidato
colore di treno di ferro:
e salutano gli esseri della strada,
le vacche, i villaggi,
nel vapore dell’alba,
senza sapere che si tratta
della porta dell’anno,
di un giorno scosso da campane,
fiorito con piume e garofani.

La terra accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline,
lo bagnerà con frecce di trasparente pioggia
e poi, lo avvolgerà nell’ombra.

Così è:
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire, a sperare.

Ti metteremo
come una torta
nella nostra vita,
ti infiammeremo
come un candelabro,
ti berremo come
un liquido topazio.

Giorno
dell’anno nuovo,
giorno elettrico, fresco,
tutte
le foglie escono verdi
dal tronco
del tuo tempo.

Incoronaci con acqua,
con gelsomini
aperti,
con tutti gli aromi
spiegati,
sì,
benché
tu sia solo un giorno,
un povero giorno umano,
la tua aureola palpita
su tanti cuori stanchi
e sei,
oh giorno nuovo,
oh nuvola da venire,
pane mai visto,
torre permanente!

In questa poesia il poeta cileno affronta un tema caro a tutti gli uomini: la speranza. Il primo di gennaio che s’appresta ad affacciarsi sul mondo, sarà accolto come un giorno speciale, un giorno nuovo, un giorno portatore di cambiamenti, sebbene per la terra non è altri che un giorno come un altro ( nuovo giorno dell’anno/sebbene tu sia uguale agli altri/come i pani/a ogni altro pane). In questi versi Neruda tiene a farci presente che in realtà il primo dell’anno non è portatore di nessuna novità imminente, ma è piuttosto un giorno la cui importanza è legata a un elemento culturale e convenzionale. La gente, pur consapevole che si tratta di un giorno sostanzialmente uguale ad altri che ha già vissuto, si prepara ad accoglierlo con aria di festa, di allegria e di speranza. Nei versi finali, il poeta sottolinea la necessità di questa speranza. Nonostante il primo dell’anno sia solo un povero giorno umano, ha l’animo di consolare e supportare tanti cuori stanchi che trovano così la forza di continuare a vivere e costruire un avvenire migliore. L’aggettivo finale, permanente, riferito alla torre, sta ad indicare proprio la volontà di edificare un futuro stabile e duraturo, ed è in quest’ottica che il pane, seppur sempre uguale, appare come mai visto, come pane fresco ricco di nutrienti per i futuri giorni da vivere.

Storia di Italo Calvino

Versi di Italo Calvino

almerighi

Italo Calvino (1923 – 1985) scrittore, Intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, è stato uno dei narratori italiani più importanti del secondo Novecento.

Io cammino per un bosco di larici
ed ogni mio passo è storia.
Io penso, io amo, io agisco
e questo è storia,
forse non farò cose importanti,
ma la storia è fatta
di piccoli gesti
e di tutte le cose
che farò prima di morire
saranno pezzetti di storia
e tutti i pensieri di adesso
faranno la storia di domani.

*

View original post

Scompare a 82 anni Pelè e il mondo calcistico e non solo piange il suo eroe.Gabriella Paci

E’morto in Brasile, la sua terra natale , il più famoso calciatore di tutti i tempi che aveva un suo pari solo in Maradona: tre volte campione mondiale,si è dovuto arrendere al tumore al colon che da tempo lo affliggeva e che lo ha vinto a 82 anni di età il 29 dicembre 2022.

Dapprima la famiglia aveva parlato di ricovero per accertamenti di routine,poi le sue condizioni erano venute alla luce a novembre , seppure sembrava si fosse stabilizzato,tanto che lui stesso aveva tranquillizzato i suoi fans : si pensava che il suo male gli avesse concesso una  tregua ma non è stato cosi.

Tutto ciò che siamo, è grazie a te. Ti amiamo infinitamente. Riposa in pace”. Così, aggiungendo l’emoticon di due cuori e una foto delle sue mani ‘intrecciate’ con quelle di sorelle e nipoti, la figlia di Pelé, Kely Nascimento annuncia su Instagram la morte del padre.

 Carriera calcistica

Pelé, pseudonimo di Edson Arantes do Nascimento, è stato un calciatore e dirigente sportivo brasiliano, di ruolo centrocampista o attaccante.

Era consociuto, per la sua capacità aanche “O rei” (il re) O rei do futebol (il re del calcio) “Perola Negra(perla nera) il calciatore del secolo per la FIFA e per il Comitato internazionale nonché pallone d’oro Fifa: unico ad aver avuto il pallone d’oro FIFa onorario .Ha svolto al sua carriera prevalentemente per il Santos con cui ha vinto 10 volte il campionato Paulista, 4 volte il torneoRio-San Paolo,6 il Campionato brasiliano serie A e 5il TacaBrasil w 2 la coppa Libertadores ;2 la coppa intercontinentale a ltre. Unico al mondo con 3 edizioni di campionati mondiali vinti e definito perciò “patrimonio storico-sportivo dell’umanità” nel 2011.

Vita privata

Pelé si è sposato una prima volta nel 1966, all’età di 25 anni, con Rosemeri Cholbi, con cui ha avuto due figlie: Cristina e Jennifer Kelly e un figlio, l’ex portiere Edinho, che sta attualmente affrontando un processo per riciclaggio di denaro e traffico di droga.

 Nell’aprile del 1994, dodici anni dopo aver divorziato dalla sua prima moglie, il tre volte campione del Mondo si è risposato con la psicologa Assiria Seixas Lemos, dalla quale ha avuto due gemelli Joshua e Celeste, ora 17enni.

Infine la terza volta con è Marcia Cibele Aoki nel 2016 quando Pelè  andava ormai per i 76 anni, che avrebbe compiuto nel mese di ottobre di quell’anno, mentre la donna imprenditrice di origine giapponese, ne aveva solo 42.

Se il calcio non si fosse chiamato così avrebbe dovuto avere come nome Pelé, scriveva Jorge Amado. Generazioni di bambini hanno provato il colpo da fuoriclasse ispirandosi a Pelé su un prato di periferia, un cortile, un campetto. E in effetti chiunque poteva ispirarsi per una piccola parte a lui, che era fuoriclasse in tutto: destro, sinistro, velocità, dribbling e colpo di testa. Per lui si sono sprecate le iperboli. Atleta del secolo (assegnato dal Cio nel 1999), calciatore del secolo (ex aequo con Maradona). O Rei è stato con Muhammad Ali’ l’atleta piu’ celebre della storia, famoso nei punti piu’ remoti del mondo come nelle grandi capitali.

Conosciuto in tutto il pianeta

  Nessun altro sportivo ha avuto piu’ spettatori di lui, e la sua faccia è tuttora, molti anni dopo il suo ritiro, tra le piu’ popolari del pianeta. ”Sono conosciuto piu’ di Gesù Cristo”, disse anni fa in un’intervista all’ANSA. Una frase che gli attirò critiche: ma a pensarci bene non aveva torto perché “anche se è una cosa blasfema – spiego’ – c’e’ una logica. Io sono cattolico, e so cosa significhi Gesu’ con i suoi valori.   

  Ma nel mondo e’ pieno di gente che crede in altro: in Asia , ad esempio, ci sono centinaia di milioni di buddisti. Magari non sanno chi e’ Cristo, ma di Pelé hanno sentito parlare…”.     Nel mondo, più prosaicamente, c’è anche gente che crede che un altro fenomeno del calcio, Maradona, gli sia stato superiore.    “Falso – rispose in quell’intervista -, basta guardare i fatti.  Sapete quanti gol di testa ha segnato Diego? Ve lo dico io, nessuno: Pelé cento. E di destro?….in tutto io ho segnato quasi 1300 reti, vi dice niente questo dato? Il problema é che gli argentini non si rassegnano, mi hanno contrapposto prima Di Stefano, quindi Sivori, poi Maradona. Prendano atto del fatto che comunque io valgo più di tutti e tre”.

 E’ stato intervistato e fotografato piu’ di qualsiasi altra persona: statisti e divi del cinema. E’ stato accolto da ‘Rei’ in 88 nazioni, e ricevuto da 70 premier, 40 capi di Stato e tre Papi. In Nigeria venne dichiarata una tregua di 48 ore ai tempi della guerra con il Biafra perche’ tutti, da entrambi gli schieramenti, potessero vederlo giocare.

Per il 2023… Gabriella Paci

Scivola nella conca del tempo un anno

con il suo carico di  questioni irrisolte

lascito sgradito come grave malanno

di cui vorremmo liberarci tutte le volte.

Accogliamo questo fragile tempo nuovo

con l’illusione che sia davvero altro

e tra  fuochi d’artificio e botti galleggiano

le bollicine nei calici come salvagente

nella tempesta: speriamo che ci portino

in alto sopra la palude dove affondano

certezze e sogni  fissati in istantanee

dove brilla nei sorrisi d’occasione la

felicità da cartolina d’auguri  e nella

tristezza nascosta ci scambiamo baci

sperando che il nuovo anno abbia parola

di pace e pezze da porre sul cuore

per non farci sentire –almeno-  troppo dolore.

GIARDINO DI PALAZZO VENEZIA, di Silvia De angelis

Palazzo Venezia è un edificio fra i più significativi del Rinascimento. Il palazzo fu iniziato nel 1455 per volere del cardinale veneziano Pietro Barbo, poi divenuto papa con il nome di Paolo II, celebre collezionista d’arte, e concluso entro la fine del XV secolo.

 Oltre al progetto, risalgono al periodo rinascimentale l’appartamento Barbo, i saloni e la loggia monumentale, l’appartamento Cybo e il giardino-viridarium. Nel 1564 l’intero edificio venne ceduto alla Repubblica di Venezia, che vi stabilì la propria ambasciata presso lo Stato della Chiesa. Nel 1797, in seguito al Trattato di Campoformio e alla conseguente fine della Repubblica di Venezia, passò all’Austria, che a sua volta ne fece la sede della propria ambasciata.

 Tra il 1910 e il 1913 il giardino-viridarium, oramai noto come Palazzetto, fu smontato e ricostruito pietra su pietra in un sito più arretrato, così da consentire l’ampliamento di piazza Venezia. Nel 1916, nel corso della Prima Guerra mondiale, il Regno d’Italia lo sottrasse all’Austria e decise di stabilirvi un museo di arte medievale e moderna. Negli anni venti Benito Mussolini lo elesse quartier generale: oltre a farvi realizzare il nuovo scalone monumentale, il dittatore fascista ne fece il suo luogo principale di lavoro e di comunicazione. L’assetto odierno risale fondamentalmente al secondo dopoguerra. Il complesso accoglie fra l’altro gli uffici del Polo Museale del Lazio, la Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte e il Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, ricco di alcune migliaia di opere di arte medievale e moderna, inclusi alcuni indiscussi capolavori.

Nonostante l’importanza e la bellezza Palazzo Venezia negli ultimi anni è gradualmente uscito dall’orizzonte dei cittadini e dei turisti. La chiusura al pubblico del giardino, mortificato al rango di parcheggio ministeriale, ha contribuito a renderlo una sorta di oggetto misterioso. Di ‘bella addormentata’.
Il 20 giugno 2016 il letargo si conclude. L’intero complesso riprende la scena che gli compete, nel cuore di Roma. Il segno più forte del cambiamento parte non a caso dal giardino, finalmente restituito al pubblico. Di qui l’attento lavoro di restauro e ricucitura, con l’abbattimento di alcune superfetazioni e al contrario la dotazione di un arredo urbano adeguato all’accoglienza, che comprende panchine, lampioni, cestini dei rifiuti, un sistema di videosorveglianza e un wi-fi gratuito. Di qui anche l’apertura in contemporanea dei tre varchi di accesso, lungo via del Plebiscito, via degli Astalli e piazza san Marco. Alla base un’idea comune: far sì che turisti e romani possano trovare nel giardino un luogo di pace e di relax, in una zona per il resto contrassegnata, specie durante il giorno, da traffico e rumore.
È questo il primo passo di un cammino più lungo e ambizioso, vale a dire di un progetto di completo riassetto museologico, che ha l’obiettivo di mettere in valore tutte le componenti e gli istituti del complesso.

Piccoli pappagallini parrucchetti volano nel giardino donando allo stesso, una nota di colore (web)

La notte fila liscia tranne

Autrice italiana contemporanea

almerighi

La notte fila liscia tranne
quelle sere che si cede al ricordo
che si dovrà morire su un letto come questo.
Allora penso a quello che dicono gli stupidi
che se c’è la morte io non ci sono. Ma
dal nulla nasce la paura, quando non vedi
non senti non pensi. Nessuna religione aiuterà
il danno dei vivi, feroce o silenziosa
nessuno potrà sottrarsi alla rovina. Dico al mio corpo
animale di stare fermo, di non pensare. Nulla
è più terribile più vero di questo tempo del ritardo, non c’è
luce per gli indifferenti, tutto l’amore non dato,
il tempo sprecato, niente che possa
destarmi dal sogno, io
dove sono,
dovrei alzarmi andare a bere in compagnia, cercarti e dire:
Tu per me sei pelle, una morte anticipata,
insepolta, coagulata fino all’erezione.

.
Mary Barbara Tolusso (Pordenone, 1967), da Disturbi del desiderio (Stampa2009, 2018)

View original post

Appuntamento al buio con la musa di Stephen Dunn

Un bel testo del grande poeta americano

almerighi

Stephen Dunn poeta (Usa 1939 – 2021)

Be’, non proprio al buio, la conoscevo.
Ero io lo sconosciuto bisognoso, preoccupato
dell’apparenza e di quanto
avrebbe mai visto al di sotto. E, disperato
come sembra, sono stato io a farmi avanti –
non mi dispiaceva essere l’intermediario
per l’uomo che volevo essere. “Sì”, assentì,
e poi, “spero tu non sia geloso”.
Mentii, e fissò l’ora e il posto,
disse che c’erano altri, sempre e comunque.
La porta era aperta. E c’eravamo tutti –
uomini e donne, a mani vuote
e mal vestiti – ciascuno con la speranza
di piacere per la voce, il tono. Sulla sua poltrona
salutava o aggrottava la fronte.
Toccò delicatamente uno di noi, come a dire:
“Non disperare, presto ti verrà concesso”.
L’odiavo, ma presi coraggio.
Era delle donne la più ordinaria.
La volevo truccare, ma tutte le iniziative
parevano spettare a lei – mi ritrovai incapace

View original post 58 altre parole

Cinereo susurro

Di Frida la loka (Lombardia)

La bifora è lì, sempre allo stesso posto, son passata davanti tante volte, fa freddo, tanto freddo, di preciso non saprei dove, fuori? O nel core...

Mi affaccio attraverso essa con la rugiada del mattino e lo sguardo si perde nel bianco grigio della nebbia che concede d'intravedere soltanto la cima alta dei pini secolari.

Il resto del fotograma lo conosco a memoria, ma non lo vedo, come le tue labbra, quando smorfiano un lieve sorriso.

Questa sera mi sporgo ancora una volta, senza far caso una luce mi acecca,  non c'è nebbia, un cielo limpido non mi nasconde nulla.

Tutto mi si rivela. Torno a vedere le stelle nel firmamento e quelle labbra in ogni sua finitura, sussurrano qualcosa, sicuramente qualcosa di bello perché la cinerea che irradia la luna, brilla più che mai...arrivandomi.

Tua.

28 dicembre, 2022.

Dal blog personale

http://fridalaloka.com

Ripubblicato su

http://alessandria.today

Calore di Khalil Gibran

La grande poesia di Gibran

almerighi

Khalil Gibran (1883 – 1931)

Sono nel bisogno, sì,
nel bisogno più disperato,
ma non d’oro o d’argento.
Ho bisogno di un rifugio.
Ho bisogno di un luogo
ove posare il capo e i pensieri.
Ho cercato in ogni locanda,
e ho bussato a ogni porta,
ma invano.
Sono entrato in ogni negozio,
ma nessuno si è dato pena di servirmi.
Non sono affamato: sono ferito,
Non sono stanco: sono deluso.
Non cerco un tetto: cerco una dimora umana.
Ho bussato alla tua porta mille volte,
e non ho ricevuto risposta.

*

View original post

Un mondiale giocato per soldi… pardon!, la coppa. Diritti negati.

Ripubblicato da Frida la loka (Lombardia)

Articolo di Riccardo Cucchi

Ci sono gesti che hanno fatto la storia dello sport: il pugno guantato di Smith e Carlos a Città del Messico, le quattro medaglie d’oro di un esultante Owens davanti al razzista Hitler. Gli atleti statunitensi nel ‘68 avrebbero voluto boicottare i giochi. E la stessa sorte sarebbe potuta toccare ad Owens visto che il Comitato Olimpico americano aveva preso in considerazione l’idea di boicottare i giochi di Berlino. Le cose andarono diversamente. E l’immagine di Carlos e Smith sul podio dei 100 metri è ancora oggi uno dei più forti messaggi che lo sport sia stato in grado di trasmettere. C’è un’altra immagine, da oggi, che potrebbe entrare nella storia. E’ quella che la regia internazionale dei Mondiali in Qatar ha negato alla platea degli spettatori ma che ha fatto il giro del web più velocemente di quanto Infantino e la Fifa potessero immaginare. Perché censurare, oggi, è molto più difficile che in passato. E’ quella della squadra tedesca immortalata prima della gara contro il Giappone. Gli 11 calciatori si fanno ritrarre nella foto di rito con la mano davanti alla bocca. Censurati dalla Fifa ma convinti che i valori siano più forti di qualunque minaccia di sanzioni. Perché questo la Fifa aveva fatto: minacciare di ammonire i capitani che avessero deciso di indossare la fascia “One Love”, un chiaro riferimento alla libertà di amare, alla liberà di orientamento sessuale.

Di più. Infantino, Presidente della Fifa in odore di riconferma, aveva indirizzato a tutte le federazioni presenti al Mondiale un messaggio netto: che si parli solo di calcio. Vietate dunque prese di posizioni in favore dei diritti o riferimenti ai 6500 operai immigrati che hanno perso la vita per realizzare gli stadi e le infrastrutture del Mondiale più costoso della storia. Un invito al silenzio. Un paradosso per l’organismo calcistico planetario impegnato su campagne per il rispetto e contro ogni forma di razzismo. Un paradosso e una incapacità palese di cogliere il profondo rapporto tra il calcio e la vita. Isolare il gioco più amato del pianeta dalla vita nella quale è immerso quotidianamente è ignorare le ragioni stesse della sua profonda e radicata presenza nella cultura popolare di ogni emisfero. ’ stato un errore assegnare il Mondiale al Qatar, assegnarlo cioè ad un paese in cui manca il rispetto dei diritti umani e civili. Ed è fallito anche il tentativo di convincerci che proprio attraverso il Mondiale qualcosa sarebbe potuto cambiare anche nell’emirato. Gli impegni assunti dal governo qatariota sono stati disattesi, come ha denunciato Amnesty International. Hanno vinto i soldi. Un calcio sempre più vorace ha accettato di giocare il suo Mondiale nel paese che offriva di più; non ha vigilato sui diritti dei lavoratori durante la costruzione delle opere; ha ignorato i diritti delle donne calpestati. In cambio di denaro. Il calcio può vendere i diritti di immagine. Non può vendere la sua anima, pena smettere di essere sport e diventare puro spettacolo, come qualcuno vorrebbe. La minaccia di ammonire i capitani che avessero indossato la fascia arcobaleno, è la minaccia di ammonire chi si professa a favore dei diritti. Ed è semplicemente inaccettabile. l calcio deve stare fuori dalla politica. E’ vero. Ma i diritti non sono politica, sono diritti. Il gesto della squadra tedesca ci consegna un pizzico di speranza. La speranza che il calcio non cada in un baratro dal quale non sia più in grado di risollevarsi. Il calcio non può cambiare il mondo, ma può spiegare che il mondo può essere cambiato.

Tua.

27 dicembre 2022.

Dal blog personale

http://fridalaloka.com

Ripubblicato su

http://alessandria.today

KAFALA – Un moderno sistema di schiavitù nel Golfo.

Di Frida la loka (Lombardia)

Qatar

Dal web.

Il sistema della kafala, letteralmente, rapiva/sce dei lavoratori, la maggior parte stranieri che di propria volontà accettano questo “sistema”, desiderosi di un futuro migliore con un lavoro retribuito, purtroppo una volta firmato un contrato, non sa se ha venduto l’anima e corpo al Diavolo. Arrivati dall’India, Bangladesh, Egitto, Pakistan e tanti altri paesi vicini.

COS’È LA KAFALA

In arabo la parola kafala ha un duplice significato, perché si riferisce a elementi di tradizione islamica tribale e legale. Da un lato, significa “garantire” (daman) ed esprime il concetto di garanzia per conto di qualcuno quando si trattano affari economici. Dall’altro, significa “prendersi cura di” (kafl), e indica il comportamento da adottare quando si interagisce con un soggetto non indipendente o autonomo, come un minore.

Il sistema della kafala, presenta le stesse caratteristiche più o meno in tutto il Golfo. Questo sistema si basa sull’idea che un lavoratore straniero (migrante) ha necessariamente bisogno di un kafeel (sponsor) per varcare i del paese. A questo punto non sarà il governo centrale a fornire al migrante uno status giuridico; invece, la competenza per regolarizzare le condizioni formali del migrante è delegata dallo stato allo sponsor. Per tal motivo lo sponsor (che in genere è anche il datore di lavoro)

Detto ciò, la kafala condanna i lavoratori stranieri a una condizione di totale sottomissione ai loro sponsor, perché sono sfruttati doppiamente; da un lato, i migranti dipendono dal datore di lavoro che paga il loro salario; dall’altro, sono ulteriormente ” legati” allo stesso datore di lavoro, dal quale dipende l’approvazione del loro status di residente legale nel paese. In questo clima, viene a galla, il fatto che il rapporto tra datore di lavoro e dipendente è del tutto sbilanciato a vantaggio del primo, il quale detiene uno smisurato potere sul secondo.

La kafala è stata denunciata come lavoro forzato, in quanto impediva ai lavoratori migranti di cambiare liberamente datore di lavoro o di lasciare il Qatar, anche se venivano abusati. La kafala rendeva facile per i datori di lavoro sfruttare i lavoratori migranti attraverso la confisca dei passaporti e il rifiuto di fornire “certificati di non opposizione” (Noc) che permettessero ai lavoratori di cambiare datore di lavoro. I lavoratori migranti che fuggivano dai datori di lavoro venivano arrestati o erano costretti a pagare multe, oppure venivano deportati.

Secondo il professor Anh Nga Longva (Department of Social Anthropology), il sistema della kafala impone inoltre ai lavoratori stranieri una terza forma di sfruttamento. Tenendo conto che i migranti sono obbligati a rinunciare ai loro diritti individuali delegandoli ai loro datori di lavoro, sono destinati a cadere in una inesorabile impasse causata dal fatto che la persona che ne stabilisce i doveri è la stessa che abusa dei loro diritti.

Per di più, considerando la loro posizione dominante, i datori di lavoro con buona probabilità costringeranno i loro dipendenti all’obbedienza facendo ricorso a pratiche illegali e deleterie quali la confisca del passaporto, l’imposizione del pagamento delle tasse di collocamento, la sospensione del regolare pagamento dello stipendio e la minaccia di denunciare arbitrariamente i migranti alle autorità statali per mancata osservanza dei loro doveri.

In relazione a questa situazione, Qatar è stato uno dei primi membri del Golfo a rimuovere la clausola NOC richiesta imminente dall’occidente, visto i mondiali pianificati proprio lì, dove il diritto non è proprio di casa dove, le autorità del Qatar hanno in primo luogo abolito la clausola detta “No Objection Certificate” (Noc) – che costringeva i dipendenti a ottenere il consenso dei loro datori di lavoro per cambiare occupazione – e introdotto in secondo luogo un salario minimo per tutti i tipi di lavoratori, indipendentemente dal settore di attività e dalla nazionalità.

Recenti calcoli rivelano, il Qatar nel 2019 ha raggiunto una popolazione di 2,8 milioni di persone, costituita per l’89% da espatriati. La popolazione straniera può essere divisa in due gruppi principali: quello degli artigiani e degli operai e quello della cosiddetta popolazione urbana. I primi, che si stima costituiscano circa il 60% degli espatriati, sono di solito impiegati in progetti di mega sviluppo, come i cantieri della Coppa del Mondo; sono generalmente giovani (20-49 anni), maschi e single. Il secondo gruppo, costituito dal restante 40%, comprende professionisti o dipendenti nei settori dei servizi privati o governativi, e le loro famiglie. Per quanto riguarda la composizione della comunità di espatriati, gli indiani rappresentano il 28% della popolazione totale, seguiti da bengalesi (13%), nepalesi (13%), egiziani (9%) e filippini (7%).

Ma non tutto quello che luccica è oro; le pratiche di abuso salariale sono ancora eccessivamente frequenti per diversi motivi. In primo luogo, non tutte le imprese e i lavoratori del Qatar sono iscritti al Wps (sistema protezione salario) . Infatti, alcune categorie vulnerabili (come i migranti impiegati in lavori domestici o agricoli) , non sono regolamentate dalla legge sul lavoro, e quindi sono escluse dal Wps. In secondo luogo, l’operatività del Wps non in grado di rilevare alcuni tipi di abuso salariale, come i pagamenti inferiori al dovuto o il mancato pagamento delle ore di straordinario.

Qatar stadi mondiali: la strage degli schiavi neri (frame Youtube)

Anni di sfruttamento, privazioni dei diritti e violazioni salariali. Molto resta da fare.

Tua.

27 dicembre, 2022.

Dal blog personale di

http://fridalaloka.com

Ripubblicato su

http://Alessandria.today

ORIGINI

quandolamentesisveste

Calca
la mente
sensibili passi
sul circuito delle origini.
Rarefatte
nella collisione del tempo
sono accentuate
da primigeni itinerari.
Manipolano
azioni e mosse individuali
sul tracciato invisibile d’emotività.
E’ abile centrifugare
frequenze e atteggiamenti
che sgretolino petali di vita
nel loro sbocciare e regredire
in quell’infinitesima parte d’universo
che sciolga
in altri mari
l’essenza indivisibile d’amore.
@Silvia De Angelis

View original post

“Pinocchio 2022” una conversazione sulla tenerezza di Omar Cruz

Omar Cruz “Quello che deve succedere, succede

Condivisione del poeta, scrittore nicaragüense Carlos Javier Jarquín

“Pinocchio, 2022”: una conversazione sulla tenerezza…

Di Omar Cruz
“Quello che deve succedere, succede. E un giorno non ci saremo più.”
Pinocchio / Guillermo del Toro

A volte nella vita ci appaiono forme diffuse, forme che a volte non riusciamo a riconoscere o semplicemente non le troviamo familiari o contestualizzate, ma con il travolgente passare del tempo possono diventare balsamo che guarisce più di una ferita.

Questo è “Pinocchio, 2022” il nuovo film del cineasta messicano Guillermo del Toro. Un’opera che viene a rivendicare il volto dell’animazione e del lavoro “in stop motion” ma ci riporta anche a quegli anni in cui eravamo ragazzi e ragazze, forti e senza nessun altro problema se non quello di divertirci ad essere noi stessi. Il film è senza dubbio una carezza all’anima, una lettera che l’autore ha scritto per chi è ancora a pezzi, per chi comincia a rigenerarsi, per chi si è accettato e si è ricostruito.

Sosterrò sempre che Del Toro ci porta in altre dimensioni, e in questa occasione ha deciso di portarci nella dimensione della tenerezza. Raramente siamo presenti in uno dei suoi film, o perché il suo cinema trascende da un mostro all’altro o perché le sue sono storie grottesche e trascendentali in piani di terrore, suspense o mistero. Ma con questo nuovo adattamento dell’ormai classico racconto di Pinocchio, il regista messicano ci ha mostrato che per lui i limiti sono solo parole e nient’altro.

Questo è un film da guardare in famiglia, e per almeno un paio di volte, poiché i temi affrontati dall’autore sono davvero necessari e per l’analisi in questa postmodernità che ci abita oggi, credo anche che dovremmo assumere la sceneggiatura come una conversazione d’amore, di paternità, di accoglienza e questo è ciò che la rende preziosa. Potrei dire che la vicinanza della storia che il regista offre con ogni personaggio è così grande che arriviamo a sentire una profonda relazione tra ciò che stiamo vivendo e ciò che accade nella nostra vita privata e ciò che Guillermo del Toro trasmette nel film.

Ci sono anche altri fatti importanti da menzionare in quest’opera, ad esempio, la follia della guerra, le vecchie e oscure pratiche del fascismo che insieme portano solo conseguenze deplorevoli e degradanti per l’umanità e la diversa specie. Questo fatto della guerra come metodo di obbedienza è trascendentale nell’opera fin dall’inizio e segna lo sviluppo nella vita del personaggio principale. Vale la pena ricordare un altro strumento uguale o peggiore della guerra; il fanatismo ultra religioso che divora l’anima dell’uomo e della donna, quello che non ci fa più incontrare e ci porta a un modo di vivere convulso, che ci fa, tra l’altro, perdere la nostra identità e non riconoscere quella del nostro equivale.

Insisto nel dire che questo è un film quasi irripetibile, pronto a trasmettere di generazione in generazione quanto sia importante e finita la vita, il rispetto che dobbiamo a chi vive ancora nel lutto, quanto giusto e necessario il sollievo dal dolore e quanto può essere bella la morte, quando è stata sufficientemente piena in un essere vivente.

Circa l’autore:

Omar Cruz è honduregno di nascita, studente della carriera di giornalismo e antropologia, autore della raccolta di poesie: Hologmas de ayer, hoy y para siempre… (Atea Editorial, 2019) i suoi articoli e poesie sono stati pubblicati su riviste in Messico , Argentina, Colombia, Venezuela, Honduras, Guatemala, Spagna e Costa Rica. Nel settembre 2022 è stato finalista al concorso di fantascienza, suspense, mistero e storia dell’orrore organizzato dalla rivista letteraria messicana Inéditos. La sua poesia è in antologie di: Honduras, Guatemala, El Salvador, Colombia, Venezuela e Messico


«Pinocchio, 2022»: un conversatorio sobre la ternura…

Por Omar Cruz
«Lo que debe pasar, pasa. Y un día ya no estamos».
Pinocchio / Guillermo del Toro

A veces, formas difusas se nos presentan en la vida, formas que en ocasiones no podemos reconocer o simplemente no las encontramos familiares ni contextualizadas, pero éstas con el arrollador paso del tiempo pueden convertirse en bálsamos que sanen más de alguna herida.

Así es “Pinocchio, 2022” la nueva película del cineasta mexicano Guillermo del Toro. Una obra que viene a reivindicar el rostro de la animación y el trabajo “in stop motion” pero que también nos vuelve a aquellos años cuando éramos niños y niñas, fuertes y sin ningún problema más que el de divertirnos siendo nosotros. La película es sin duda, una caricia al alma, una carta que el autor escribió para quienes aún están rotos, los que están empezando a reconstruirse, o los que se asumieron y son personas construidas.

Siempre voy a sostener que Del Toro nos lleva a otras dimensiones, y en esta ocasión decidió llevarnos a la dimensión de la ternura. Rara vez estamos ahí en una de sus películas, ya sea porque su cine trasciende de un monstruo a otro o porque lo suyo son las historias grotescas y de trascendencia en planos del terror, suspenso o misterio. Pero con esta nueva adaptación del ya clásico cuento de Pinocchio, el cineasta mexicano nos demostró que para él, los límites son solo palabras y nada más.

Esta, es una película para ver en familia, y verla un par de veces más, ya que los temas abordados por el autor son realmente necesarios y de análisis en esta posmodernidad que hoy nos habita, creo también que debemos asumir el guión como un conversatorio de amor, de paternidad, de aceptación y es esto lo que lo vuelve precioso. Podría decir que es tanta la cercanía de la historia que nos entrega el cineasta con cada personaje, que se llega a sentir una relación profunda entre lo que estamos viviendo y sucede en nuestra vida privada y lo que transmite Guillermo del Toro en la película.

Hay también otros hechos importantes que mencionar en esta obra, por ejemplo, la necedad de la guerra, las viejas y oscuras prácticas del fascismo que unidas solo traen consecuencias deplorables y denigrantes para con la humanidad y las diferentes especies. Este hecho de la guerra como método de obediencia es trascendental en la obra desde el inicio y marca el desarrollo en la vida del personaje principal. No está demás mencionar otro instrumento que es igual o peor que la guerra; el ultra fanatismo religioso que carcome el alma del hombre y la mujer, ese que no nos deja reencontrarnos y nos lleva a una forma convulsa de la vida, que nos hace entre otras cosas perder nuestra identidad y no reconocer la de nuestros iguales.

Insisto en decir que, estamos ante una película, casi irrepetible, dispuesta a transmitir de generación en generación sobre lo importante y finita que es la vida, el respeto que debemos a quienes aún viven en el duelo, lo justo y necesario que puede ser el desahogo del dolor y lo bella que puede llegar a ser la muerte, cuando ésta ha sido lo suficientemente plena en un determinado ser vivo.

Sobre el autor:

Omar Cruz es hondureño por nacimiento,   estudiante de la carrera de Periodismo y Antropología, autor del poemario: Hologramas de ayer, hoy y para siempre… (Atea Editorial,   2019)   sus   artículos   y   poesía   han   sido  publicados   en   revistas   de   México,Argentina,   Colombia,   Venezuela,   Honduras,   Guatemala,   España   y   Costa   Rica.   EnSeptiembre del año 2022 fue finalista  en el concurso de cuentos de ciencia ficción,suspenso,  misterio  y terror   convocado   por la revista  literaria   mexicana   Inéditos. Su poesía está en antologías de: Honduras, Guatemala, El Salvador, Colombia, Venezuelay México

👇👇👇
http://nonsolopoesiarte.art.blog/2022/12/26/pinocchio-2022-una-conversazione-sulla-tenerezza-di-omar-cruz/

http://alessandria.today/2022/12/26/pinocchio-2022-una-conversazione-sulla-tenerezza-di-omar-cruz/

UN BOCCOLO, di Silvia De Angelis

notevole l’effetto di quel tuo saggio esponenziale

– varca i confini del buio acceso –

migrando scivola nel mio sentiero

ove insinua mordenti spasmi nel frangente di luna che ride

– dolce annodare ambrosia e balsamo estatico nello spalmare ebbrezze di mughetto –

mi immergo estasiata in quel passo non più titubante

ove soffio delicato sfuma esili reticenze

in quel dolce inclinare attorcigliato boccolo sfumato…

@Silvia De Angelis

Una poesia a Natale… Auguri

Titolo : Quanti regali!

I re Magi  sono saliti sui loro cammelli
sempre in cammino per giorni e notti,
dopo aver consultato gli uomini dotti,
coprendo il capo con turbante o cappelli.

Nelle mani portano scrigni con i doni
alle virtù di fede e carità son paragonati.
I bambini attendono che gli siano regalati
e per questo fan promesse d’essere buoni.

Cosicché scrivono in tempo la letterina
chiedendo a Babbo Natale di intercedere
tanti regali e bei giocattoli concedere,
far la gioia di ogni bambino e bambina.

Tutti al mondo avranno un regalino
segno di generosità e di fratellanza
per dire che mai perdere la speranza
che il seme della pace sia in ogni cuoricino.

Elisa Mascia 25-12-2022

Título: ¡Cuántos regalos!

Los reyes magos montaron sus camellos
siempre en el camino por días y noches,
después de consultar a hombres eruditos,
cubriendo la cabeza con un turbante o sombreros.

En sus manos llevan ataúdes con regalos
a las virtudes de la fe y la caridad se asemejan.
Los niños están esperando que se los den.
y para ello hacen promesas de ser buenos.

Así escriben la carta a tiempo
pidiéndole a Santa que interceda
muchos regalos y hermosos juguetes para otorgar,
para deleitar a todos los niños y niñas.

Todos en el mundo tendrán un pequeño regalo.
signo de generosidad y fraternidad
decir nunca perder la esperanza
que la semilla de la paz esté en cada pequeño corazón.

Elisa Mascia 25-12-2022

👇👇👇
Link: https://issuu.com/home/published/ouro_incenso_e_mirra_ebook_ realizzato da Jose Sepulveda e Rosa Maria Santos

http://nonsolopoesiarte.art.blog/2022/12/25/auguri-di-buon-natale-2022-con-una-poesia/


http://alessandria.today/2022/12/25/auguri-di-buon-natale-2022-con-una-poesia/

Cammino all’alba (racconto brevissimo natalizio)…

“È Natale il 24

non riesco più a contare

la vita va così

Ho una folle tentazione

di fermarmi a una stazione

senza amici e senza amore.”

(Piero Ciampi, cantautore e poeta)

Cammino all’alba nella nebbia, che per qualche istante soltanto mi confonde i pensieri. Solo i miei passi nell’aria che riecheggiano. Pontedera è addormentata. Ho i capelli molto corti. Mi sono fatto la barba e lo shampoo, appena alzato. So a memoria queste strade, questa piazza. Per il resto poi sembra una mattina come le altre, se non fosse che è Natale. Il cielo è nuvoloso. Non si apre ancora uno spiraglio di luce tra le nuvole.  I lampioni con una luce fioca e obliqua  illuminano il mio cammino. Attorno non c’è nessuno. Giungo davanti all’ospedale e tutti i bar sono chiusi. C’è una donna fuori di sé che urla dal suo appartamento. Continuo facendo finta di niente. Non mi volto. So chi è e non è nuova a dare in escandescenze. Ha spesso delle crisi di nervi e parla a voce alta. Prima o poi del resto ognuno ha le sue crisi, dei momenti puntuali o dei veri periodi di insoddisfazione e di depressione. A volte le crisi scaturiscono da cose futili, dopo aver accumulato strati di cose negative. Ora vedo affiancarsi una macchina. Sento il vocio di due giovani fidanzati che litigano. La ragazza inveisce, gesticola, quindi scende furiosa dalla macchina, sbattendo lo sportello; lui alterato suona il clacson e quindi riparte sgommando. Due infermiere e un dottore con la borsa fanno finta di nulla, non si intromettono, entrano in ospedale. Anche la guardia robusta e imponente fischietta, si fuma nervosamente una sigaretta e finge di non aver visto i due fidanzati né di aver mai udito le urla della donna, poco distanti. Continuo a camminare. Ecco il cinguettio dell’alba. L’edicolante naturalmente è chiuso. C’è una macchina che sfreccia a velocità elevata e io mi metto da parte. Intravedo la sagoma di un passante, che forse va al lavoro. Arrivo alla stazione. C’è gente di passaggio. Io sono un estraneo, uno straniero tra estranei, tra stranieri. Non c’è più nessuno che abbia una sua identità e che si sente a casa sua: ammettiamolo candidamente, la crisi è di ognuno, la crisi è di questa epoca e di questa società  e tocca tutti, più o meno. Tutti sono in una terra di nessuno psichica, esistenziale, mentale, prima ancora che geografica. C’è chi si sente di non appartenere a questo luogo perché arriva da molto lontano. Io non mi sento più di qui perché qui sono l’eterno rifiutato, quello scartato, quello messo in un angolo buio, quello riposto lontano e dimenticato. Io non mi sento di qui perché qui a conti fatti non ho una vera vita sociale e lavorativa, perché la mia è una non vita che ha però a tutti gli effetti la parvenza di una vera vita, perché non sono mai voluto partire per un posto più accogliente e ora è inutile fare recriminazioni o avere rimpianti. Cammino all’alba nella nebbia fino a quando non giungo al bar. Penso che è Natale, anche se si è perso il senso più profondo e autentico del Natale. Ha prevalso il consumismo e fino al 24 la gente ha fatto carte false per fare o ricevere i regali più belli e costosi. La cosa migliore è stare assieme con la famiglia per Natale e considerarsi fortunati di avere una famiglia. Rifletto sul fatto che certe festività possono davvero far male a chi è solo o è povero, a chi non è stato considerato da nessuno, ma il trucco è tollerare, sopportare questi giorni e aspettare la quotidianità dei giorni qualsiasi, quelli in cui non c’è l’obbligo sociale, il bisogno socialmente indotto di essere felici insieme agli altri a tutti i costi. Penso a chi è solo, a chi si sente solo, a chi è in difficoltà economica. Guardo l’insegna illuminata. Entro dentro. Saluto la titolare. C’è solo un avventore. Faccio colazione.  Poi la saluto, lei ricambia il saluto e mi fa gli auguri e io contraccambio.  Esco fuori e una barbona settantenne, che sta fumando una sigaretta, mi fa gli auguri e mi dà il buongiorno. Anche io faccio gli auguri e mi incammino verso il mio destino. La gentilezza e la convivialità sincera di queste due donne mi hanno rincuorato, mi hanno scaldato il cuore. A volte ci si riconosce tra estranei, tra stranieri e la nostra umanità ha la meglio sulla nostra crisi. È l’alba. Questo giorno non è ancora sbocciato, la luce non ha ancora rischiarato questa mattina, questa cittadina. E mentre ascolto il suono dei miei passi penso che l’esistenza è fatta di cose semplici, che a ogni modo è sempre meglio semplificare che ingarbugliarsi nelle astruserie e negli intellettualismi, che spesso per restituire la complessità della realtà si finisce per perdersi nei meandri del niente, che ci sono già tante sfaccettature della vita che la complicano, che non bisogna moltiplicare gli enti o gli specchi (in fondo già Berkeley aveva intuito che i principi che governano la natura e la scienza sono pochi, semplici, essenziali e lo stesso Einstein aveva rafforzato il concetto, dicendo che quando la risposta è semplice è Dio che risponde, alla faccia di ogni epistemologia della complessità). Cammino all’alba nella nebbia, che per qualche istante mi confonde i pensieri. Sembra una mattina come le altre, se non fosse che oggi è Natale. 

Gioielli Rubati 228: Filipa Moreira Da Cruz – Laura Segantini – Daniele Barbieri – Matt Taggart – Cipriano Gentilino – Silvia De Angelis – Richard Reeve – Felice Serino.

quandolamentesisveste

Ringrazio l'autore Flavio Almerighi per avermi gentilmente inserito in questo bouquet natalizio di autori di poesie La mia vita senza me . Viaggiare, partire senza una meta o un appuntamento Rimani da sola o tra di noi È ancora molto presto, aspetta! Non sono pronta per domani . Un’altra tazza di tè caldo La felicità a volte sembra così falsa Spostare, reimballare Non ho più tempo per queste sciocchezze . Devi crescere in fretta ed è un peccato Alcune cose si perdono con l’età All’improvviso chiudo gli occhi e me ne vado E per la prima volta, immagino la mia vita senza me. . di Filipa Moreira Da Cruz, qui: https://demalinhapronta.wordpress.com/2022/12/14/ma-vie-sans-moi-2/ . * . Non è un conto di sillabe, questa danza in punta di penna. È la parte buona, il sorriso che non rammentavo di avere. La parte nascosta, quella che doveva dormire, ben coperta. Tra le mie parole…

View original post 557 altre parole