
Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri
Paola Greco · ·
Dove non mi hai portata
Cerco nella commozione che ancora mi pervade il giusto ordine alle parole.
La giusta distanza, necessaria a raccontare questa storia che trascina in sé il peso ed il dolore della verità. Una verità che l’autrice ricerca in maniera lucida ma maniacale, trattenendo “il cuore accanto”: né troppo dentro a confondere, né troppo lontano a dimenticare.
Maria Grazia Calandrone, che è poeta (ed io questo non lo sapevo ma l’ho compreso leggendone la vibrante prosa), plana con leggerezza sul vissuto della madre naturale, Lucia, rivolgendo a Lei una perpetua carezza, che è conforto e perdono.
Non avendo di Lei alcun ricordo, la riporta a nuova vita.
Come nei libri di storia i grandi, così Lucia, prende forma e anima attraverso le parole di Maria Grazia.
“Rinascerai, Lucia, anche solo a parole. È tutto quello che posso.”
Maria Grazia ha bisogno che sua madre diventi reale, probabilmente per renderle il commiato che non le è stato concesso renderle. Ma soprattutto ha bisogno di spiegare a se stessa e al mondo chi era Lucia, cosa ha vissuto Lucia.
Ha bisogno di denunciarlo, che Lucia “ha ventinove anni, è innamorata, ha una figlia neonata. Se solo non trovasse davanti a sé solo strade chiuse, Lucia vivrebbe, forse ancora..”
Ma Lucia appartiene ad un tempo lontano, o almeno così ci piace immaginare. Ad un periodo di mezzo in cui l’emancipazione femminile sta affacciandosi lentamente al mondo, ma ancora non è presente tra le retrovie della gente. Figurarsi nelle piccole realtà contadine come quelle da cui Lucia proviene.
Lucia è per la famiglia una merce di scambio, un’occasione per un buon affare. Viene umiliata e vessata, non amata, ripudiata fino alla fine della sua vita.
Lucia è la vera vittima dell’abbandono. Di un disamore che non le dà alcuna chance di salvezza, che è puro egoismo e non opportunità. Lucia è sacrificata sull’altare di una cultura gretta, patriarcale e maschilista, in un paese – l’Italia – il cui diritto di famiglia viaggia ancora su due velocità, dove la discriminazione tra uomo e donna non fa ancora abbastanza rumore.
Lucia è vittima di violenza. Una violenza avallata e condivisa dal sistema culturale e valoriale del tempo. Una violenza di massa, dalla quale non riesce a fuggire, ovunque vada se la ritrova addosso.
Ma Lucia non si piega, piuttosto si spezza.
Lei vuole vivere, vuole tornare a brillare. Ci prova con tutte le sue forze. Ma alla fine ne vedremo dissolversi l’essenza e tutta la sua bellezza.
L’abbandono che Lucia subisce è del tutto diverso da quello che prepara e infine compie.
Questo Maria Grazia lo sa, la verità è nei fatti che analizza, ricostruisce, forse, ad un certo punto accarezza, che legge come un testamento postumo d’amore dei suoi genitori verso di Lei.
“L’amore di Lucia per me […] sta nel Dove non mi ha portata.”
Pagine che alternano il freddo registro della cronaca, ben incastonato nel contesto sociale, culturale economico e legislativo del tempo, a frangenti di elevata poesia.
Che non è mai autocommiserazione, ma balsamico perdono.
Un rimpianto misto amore.
È un testo altissimo, di cui ho detto forse troppo.
Leggetelo.