CONTROLUCE: Barriere architettoniche, tra indifferenza e mancanza di empatia, storie difficili.

Date: 17 novembre 2022Author: irisgdm0 Commenti— Modifica
Articolo di Marina Donnarumma. Roma 17 novembre 2022

La notte del 15 novembre 1963 a Recco tirava un vento gelido di tramontana. In ospedale tutti i neonati iniziarono a piangere, fino a mattina. Tutti tranne uno: Gianni, il più piccolo nato con un mese di anticipo. Solo due giorni dopo in ospedale si accorsero che qualcosa, in quel suo silenzio, non andava e quando lo trasportarono a Genova era oramai troppo tardi. Dopo due mesi di ricovero tornò a casa con un referto su cui c’era scritto: tetraparesi spastica distonica. Il freddo di quella notte gli aveva procurato una congestione con effetti devastanti e permanenti sul suo sistema nervoso.
Ieri sulla mia #newsletter ho raccontato la storia del mio amico Gianni, all’anagrafe Giovanni Battista Casareto, che ha tanti rimpianti, molta grinta, una testa velocissima, un talento per la scrittura e dei sogni. Voglio pubblicare qui un piccolo estratto. Io e Gianni ci siamo conosciuti alla presentazione del mio libro “La mattina dopo” e quella sera mi disse che la sua vita è una lunga mattina dopo, quella segnata dal vento ma anche dall’incompetenza degli uomini.
Gianni mi scrive regolarmente, mi manda cose da leggere, poesie, testi di canzoni, racconti storici, ci scambiamo pareri, io gli segnalo #podcast da ascoltare e mi viene sempre a salutare quando faccio presentazioni nella sua zona. Questa volta sono andato a trovarlo a casa, a Recco, dove ha passato tutta la vita e, dopo la morte del padre e della madre, vive con la sua badante ucraina e suo marito.
«Nei primi anni di vita, ero totalmente immobile, incapace di muovere anche il minimo arto. Ero tutto rigido con le mani chiuse a pugno, la schiena inarcata in avanti e i piedi che puntavano in dentro. Ricordo una visita che feci a Genova il giorno prima di compiere sei anni, durante la quale fecero a mia madre un discorso strano che si concluse con un consiglio: ricoverare in un istituto quel figlio disabile. Invece mi hanno cresciuto e testardamente mi hanno curato anche al di fuori delle terapie tradizionali. Assunsero un massaggiatore di Sori, che al prezzo di tanti sacrifici economici e a una montagna di mio dolore fisico, in anni di lavoro mi mise letteralmente in piedi».
Gianni è andato in prima elementare a otto anni, al Centro Spastici di #Genova, dopo due anni di inferno burocratico per aver diritto ad un posto sullo scuolabus.

«Alla fine delle elementari dissero che potevo essere inserito nella scuola media di Recco, usufruendo della riforma Malfatti, che consentiva ai #disabili di essere messi a contatto con i ragazzi “normali” all’interno delle singole classi. È stato un tempo bello anche se difficile, perché lì ho cominciato a vedere la differenza tra me e gli altri ragazzi: loro correvano e io restavo a guardarli e, più avanti nel tempo, li osservavo abbracciati alla fidanzata di turno e poi li ho visti sposarsi e avere dei figli. Questa è la parte più dolorosa, la mancanza dell’amore e di una famiglia mia».

Mi guardo intorno: le pareti e i ripiani della libreria sono pieni di piatti, vasi e sculture che ha imparato a fare alla scuola per ceramisti che ha frequentato per tre anni. «Non avevo nessuna manualità, nemmeno la percezione di come si tiene in mano un pennello per decorare, non riuscivo a connettere mano e cervello sulla stessa lunghezza d’onda. Piano piano la mano cominciò a rispondere agli impulsi della testa e cominciai a costruire vasi, ciotole, piatti e poi a decorarli». Anni dopo quella capacità gli permise di far parte di “un gruppo di pazzi” che aprì un laboratorio di ceramica nel suo garage: «Eravamo molto affiatati e c’era grande armonia tra noi, quel tempo è stata l’esperienza più intensa e felice della mia vita». Questa fase della vita si concluse nel 2004 con la morte di Giuliano, l’anima del gruppo in laboratorio: «La sua perdita improvvisa mi provocò un dolore indicibile e uno stress fortissimo, come se a morire fosse stato un fratello maggiore. Alcuni giorni dopo mi accorsi che nella parte destra del mio corpo stava succedendo qualcosa: il braccio destro cominciò a chiudersi e il tendine d’Achille ad accorciarsi, poco tempo dopo non mi fu più possibile camminare».
Ascolto Gianni e mi rendo conto di quanto siano fondamentali nelle nostre vite gli amici e i maestri, di quanto una comunità possa fare la differenza. La morte della madre lo ha obbligato a prendere in mano la sua vita, ha imparato ad andare a fare la spesa e la sua più grande sensazione di libertà è stata quella di lanciarsi con la carrozzina lungo la discesa verso Recco. «Non sono autosufficiente e mi muovo attraverso due carrozzine, una da interni e una da esterni, che piloto con grande maestria, tanto che mi chiamano “Schumacher”. Con gli anni ho capito che l’autonomia e la voglia di indipendenza la devi avere dentro te stesso e poi conquistarle giorno per giorno, lottando per te e per gli altri per abbattere le tante diffidenze, le discriminazioni, le barriere culturali e architettoniche che ancora avvolgono e condizionano la vita dei disabili».

Alla fine della nostra chiacchierata mi ricordo che Gianni mi aveva detto di avere tre sogni, gli chiedo di raccontarmeli. Il primo è la lotta contro le barriere architettoniche. Lo fa con il gruppo di cui è promotore, #ABA Abbattimento Barriere Architettoniche Recco. Ma il percorso è ancora lungo: «Cosa c’è di più discriminante di vedere gli altri entrare e di essere costretti a stare fuori. A me capita da una vita. Quante volte ho dovuto gridare come un ossesso per farmi vedere, perché quel negozio era senza scivolo? E ogni volta che accade mi sento ferito e umiliato nel profondo e penso di essere un cittadino di serie C». Un altro suo sogno è vedere una sua canzone, una di quelle di cui scrive i testi, arrivare a Sanremo, o di salire su quel palco per parlare dei maledetti ostacoli che rendono la vita un inferno. Il terzo sogno? Me lo confessa mentre ci stiamo salutando: «L’amore, la tenerezza, una compagna e una famiglia».Mario Calabresi
Una storia come tante, come tante di sofferenza, difficoltà, un nome, tanti nomi. Storie tragiche, storie a lieto fine, ma non senza amarezze e pregiudizi.
Dobbiamo imparare ad amarci di più, ad amare l’altro, riprendere in noi sentimenti di ”pietas” comprensione degli altri. Una storia non si deve risolvere perchè viene sbandierata, chiacchierata, si deve fare, un nostro dovere, un dovere di tutti noi. Dietro ogni ragazzo o ragazza disabile ci sono genitori, nonni che sacrificano fino all’estremo la loro vita. Spesso un unico genitore, abbandonato dalle istituzione, quando mai il contrario? Diventa una non vita, una vita esclusivamente di assistenza, dormendo poche ore, senza uscire, mai. Vorrei lanciare una campagna di sensibilizzazione su ALESSANDRIA TODAY, raccontateci le vostre storie, Fotografate con nome e cognome ogni barriera architettonica, ogni ostacolo che possa impedire un accesso. A presto un indirizzo e-mail dovete potrete mandare tutto ciò.

Articolo di Marina Donnarumma 17 novembre 2022