Innanzitutto blog è un abbreviativo di web log, letteralmente sito che tiene appunti. Il blog ha avuto successo negli Stati Uniti. Ormai è conosciuto anche da noi da anni. Viene da chiedersi subito: perchè aprire un blog? Ritengo che chi apre un blog lo faccia prima di tutto per comunicare le sue opinioni e le sue considerazioni sulla società odierna. Il blog è un angolo di web in cui dare sfogo a una parte di sé stessi, a ciò che si ha dentro. Alcuni l’hanno paragonato a un diario senza lucchetto. Certo è anche un modo di apparire, di far conoscere le proprie ansie, i propri turbamenti e i propri scazzi a persone prima irraggiungibili, perché lontane geograficamente. In molti blog ci sono annotazioni diaristiche, sensazioni, opinioni sul mondo attuale, articoli di giornale. Spesso un blog ben fatto è una via di mezzo tra il diario e il giornalismo, tra la community e la raccolta di link. Gli autori dei blog sono persone che vogliono comunicare in modo diretto e in modo giovane. Sono liberi pensatori che solamente un decennio fa non avrebbero trovato nessun sbocco. I blog in Italia attualmente sono migliaia e migliaia; forse aumenteranno ancora. Sono certo che aumenterà a dismisura anche quella che in gergo si chiama la fuffa. I blog aumenteranno per un motivo molto semplice: perché per creare un blog non c’è bisogno di conoscere l’html o altri linguaggi informatici specifici. Inoltre il blog rispetto al classico sito web è più semplice da creare ed è anche più dinamico. In un blog si possono mettere più scritti rispetto a un sito. Per fare un sito occorre anche dosare le forze, operare certe scelte, essere parsimoniosi. Ad esempio fare un sito personale di 500 pagine significa caricare troppo di link la home page e rendere più lente le visite del sito. Allo stesso tempo il blog è meno dinamico e più egocentrico rispetto alla mailing list, al gruppo Yahoo, al gruppo Facebook, al gruppo Msn. Nel blog il vero protagonista è l’autore stesso, anche se ci sono i commenti dei post. Inoltre nella mailing list frequentata un messaggio appare per poche ore. Spesso ci sono altre persone che postano e i visitatori leggono i messaggi più frequenti. Nella mailing list frequentata i messaggi si accavallano, si susseguono, si sovrappongono. Un intervento quindi cade subito nell’oblio. Nel blog l’intervento rimane per svariati giorni. Potremmo quindi teorizzare che il blog sia il giusto mezzo di comunicazione delle proprie sensazioni e delle proprie idee. E poi mi faccio una seconda domanda: perché i navigatori del web visitano i blog? Io penso sia per il voyeurismo. Probabilmente sono una sorta di guardoni telematici, che curiosano nei blog per sapere qualcosa di piccante o di interessante sulla vita sentimentale, sessuale e sociale delle persone. E’ anche vero d’altro canto che ci sono blog di aspiranti giornalisti o blog che trattano di letteratura, ma -ahimè- a quanto mi è stato dato di vedere questi siti non sono molto frequentati: non interessano quanto la tanto deprecata fuffa.
Un tempo esistevano le riviste letterarie cartacee. Ma da qualche anno a questa parte con l’avvento di internet è avvenuta una trasformazione: dalle riviste letterarie cartacee siamo passati alle riviste letterarie online, spesso aperiodiche per evitare di essere catalogate come testate giornalistiche. D’altronde i visitatori purtroppo sono più dei lettori per diverse ragioni: il disinteresse degli italiani alla lettura, l’oligarchia delle grandi case editrici, le difficoltà delle librerie indipendenti. Per chi possiede un sito letterario può essere particolarmente motivante e divertente accrescere la popolarità del proprio angolo virtuale. Un tempo i webmaster cercavano alla rinfusa link perché l’importanza di un sito internet veniva valutata in base alla link popularity. Oggi invece devono essere più accorti, il gioco si è fatto leggermente più sofisticato perché la rilevanza di un sito internet si basa su una serie di algoritmi che calcolano non solo la quantità dei link, ma anche la qualità e la pertinenza. Dal 2000 a oggi ho potuto constatare la proliferazione di siti letterari per aspiranti, emergenti o sedicenti poeti. I più snob ritengono che ciò vada a discapito della qualità letteraria, personalmente sono dell’idea che questo fenomeno sia un’ulteriore prova incontrovertibile della democraticità del web. Nessuno ha ancora pensato di vietare a critici letterari e italianisti di fare il proprio lavoro. Inoltre anche nel sito letterario più dilettantesco e scalcinato di un gruppo di adolescenti si deve valutare la buona fede e la passione, che animano i gestori di tale sito. I maligni sosterranno che ciò che spinge molti autori alla creazione di un sito sia solo narcisismo, ma personalmente ritengo che sia una forma di narcisismo molto più nobilitante di quella che spinge a fare le veline o i tronisti. Ognuno deve avere diritto ad uno spazio reale o virtuale in cui esprimersi. Internet è l’editore più democratico che esista. Il visitatore deve saper scegliere in questa dimensione parallela sconfinata. Non bisogna nemmeno dimenticarsi che oggi i caffè letterari e i salotti non fanno più letteratura, mentre artisti e scrittori oggi sempre più frequentemente si scambiano e-mail e collaborano a siti letterari.
Penso alle parole del poeta Aldo Nove, che recentemente ha dichiarato: “Se Pasolini fosse vivo, oggi avrebbe un blog”. Tagliamo subito la testa al toro: non tutti quelli che hanno un blog letterario sono Pasolini. Anzi per ora di Pasolini non ne ho trovati. Ma c’è anche chi da anni e anni certifica la morte dei blog letterari. E allora quale tra le due è la verità? A chi dare ragione? Il blog va bene per un autore per svariati motivi: per l’espressione delle sue idee, per veicolare più facilmente dei messaggi, per autopromuoversi. Anche collaborare a un blog collettivo può andare bene per gli stessi identici motivi. In fondo Pulsatilla, al secolo Valeria Di Napoli, non avrebbe venduto 300000 copie con il suo primo libro se non avesse gestito un blog frequentatissimo. A onor del vero diverse blogstar sono riuscite a compiere il passaggio, sono diventati bestselleristi. Altre hanno venduto molto di meno, ma sono approdati all’editoria di qualità. Certo per scrivere ci vuole un minimo di costanza. Bisogna avere un minimo di ideazione. Bisogna aggiornare il blog con continuità. È un impegno che si prende. È richiesta almeno la conoscenza basilare della lingua italiana, bisogna saper scrivere un minimo correttamente senza fare strafalcioni ed errori madornali (che poi le incertezze e i refusi toccano anche ai più attenti e meticolosi). Si deve stare più attenti alle leggi perché si esce fuori dalla bolla social e i post restano sui motori di ricerca. Bisogna autocensurarsi talvolta. Bisogna fare attenzione. Scrivere comporta molte controindicazioni e molte implicazioni. Bisogna ponderare e valutare tutto. Non si può certo scrivere ciò che passa per la testa. Ma la scrittura è libertà di espressione. Non solo ma se il Dsm comprende tra le varie dipendenze il sesso, la televisione, Internet, eppure la scrittura e la lettura non vi vengono annoverate. Scrivere e leggere non fa male, anzi è terapeutico. I pazienti vengono curati dagli psicoterapeuti con la psicosintesi e la biblioterapia. Quindi è solo un topos letterario quello di Don Chisciotte che impazzisce per i libri, che non corrisponde a realtà. Leggere fa bene. Aumenta le connessioni cerebrali. Fortifica l’intelligenza (qualsiasi definizione le si voglia dare). Arricchisce il vocabolario e più parole si conosce meno probabilità si ha di essere “fregati” dai padroni e più si è in grado di elaborare la realtà, come notò Don Milani. Ma poi gli stessi che giurano sulla morte dei literary blog sono anche gli stessi che cercano disperatamente i like sui gruppi Facebook! Literary blog come Nazione Indiana hanno fatto la storia del web italiano. Nei primi anni 2000 per farsi una certa reputazione poetica bisognava avere pubblicato qualcosa su Nazione Indiana perché la redazione era selettiva e nei commenti non veniva risparmiato nessuno, a nessuno venivano fatti sconti. Sui literary blog un tempo nascevano molte polemiche, in cui ci potevano essere duelli all’ultimo sangue tra trolls che si firmavano Paperino e professoresse universitarie. Consiglio a tutti a tale riguardo di approfondire l’argomento con il seguente libro: “Polemiche letterarie: dai Novissimi ai lit-blog” di Gilda Policastro (Carocci, 2012). Inoltre oggi i literary blog sono sempre visitati, ma è difficile partire da zero, partire dal nulla. È difficile creare traffico, attrarre visitatori. È sempre più difficile il posizionamento sui motori di ricerca. È sempre più difficile attrarre lettori con il passaparola. Ci vogliono soldi e/o pazienza e/o impegno. Bisogna a ogni modo dedicare una certa quota parte del proprio tempo libero. Sorge spontaneo un interrogativo: ne vale la pena di versarsi in questa attività non remunerativa per comunicare qualcosa a qualcuno, che in buona parte dei casi non si conosce? Il destinatario spesso se ne sta nascosto nell’anonimato. E poi siamo sicuri che qualcuno non percepisca in modo errato il nostro messaggio, il nostro contenuto? È un rischio che va messo in conto, ma che non è quantificabile né oggettivamente calcolabile. Per ora nessuno è stato perseguitato per un blog. Bisogna fare mente locale per una rapida analisi dei costi/benefici. Che cosa si vuole trovare con un blog o con una collaborazione? Soldi? Il partner? Legittimazione culturale? Lavoro? Oppure si è contenti di fare una cosa che ci piace con passione? Forse quest’ultima cosa non è già molto?