Racconti: Tigri, isole misteriose, serpenti, foreste monsoniche, galeoni ed esotismo, di Anselmo Pagani

Tigri, isole misteriose, serpenti, foreste monsoniche, galeoni ed esotismo fanno da sfondo alle mirabolanti avventure di personaggi quali Sandokan, Yanez, Lady Marianna, Tremal Naik o il Corsaro Nero, in 105 romanzi e più di 130 racconti tradotti in moltissime lingue, che ci parlano di Paesi lontani e località remote, tutte descritte in maniera tanto realistica che pare di esserci.

Eppure Emilio Salgàri, dall’Italia, non uscì mai e anzi trascorse gran parte della sua tormentata esistenza fra lo studio di casa, dov’era uso scrivere senza interruzioni per intere giornate, e la biblioteca, dove si rinchiudeva per consumarsi la vista consultando carte geografiche, resoconti di viaggio e le prime guide turistiche per i pochi giramondo di quegli anni.

Nato a Verona il 21 agosto del 1862 da una famiglia di commercianti, dopo le elementari passò alla Regia Scuola Tecnica senza entusiasmo, tanto che non riuscì a terminarla poiché nella sua testa aveva iniziato a farsi largo un’idea, una soltanto: quella di diventare capitano marittimo e così girare il mondo.

Non ci sarebbe riuscito perché, dopo un anno di praticantato come semplice uditore presso l’Istituto Nautico di Venezia, non passò l’esame di annessione al corso e pertanto, a dispetto di ciò che amava far credere di sé, il mare, quando lo vide, fu come semplice spettatore, mai però da protagonista a bordo di una nave, e i pochi viaggi che intraprese in vita sua furono sempre per via terrestre, su e giù per la Pianura Padana.

Al contrario, quanto a fantasia e immaginazione, pareva non avere confini tanto che a soli 21 anni d’età, a partire dal 15 settembre del 1883, per la veronese “la Nuova Arena” iniziò a pubblicare a puntate il primo romanzo d’appendice intitolato: “Tay See, una storia d’amore ardente e guerra feroce”.

Vista la buona accoglienza, a distanza di appena un mese sullo stesso quotidiano uscirono con cadenza giornaliera le 150 puntate de “la Tigre della Malesia”, romanzo che raccolse un successo inatteso e strepitoso che lo rese celebre e ricercato dagli editori, gli stessi però che avrebbero a poco a poco contribuito alla sua rovina.

La scomparsa in rapida serie della madre, nel 1887, e poi del babbo suicidatosi perché erroneamente convinto di essere affetto da una malattia in stadio terminale, non interruppero la sua produzione “a getto continuo” di una prodigiosa e seguitissima serie di romanzi, quali “La favorita del Mahdi”, “I pescatori di balene”, “Duemila leghe sotto l’America”, “La scimitarra di Budda”.

Tuttavia, non avendo più particolari legami affettivi con la città di Verona, dopo le nozze con Ida Peruzzi nel 1887 e la nascita della prima figlia Fatima, decise di trasferirsi in Piemonte, stabilendosi infine a Torino, sede della casa editrice Giulio Speirani.

Per quest’ultima, infatti, s’era impegnato a scrivere almeno tre romanzi all’anno per la (modesta) somma forfettaria di 300 lire a romanzo, indipendentemente dalle vendite effettive.

Risultato? Se l’editore fece fortuna, lui invece, ormai diventato padre di quattro figli, dovette sempre accontentarsi d’inseguire il miraggio della tranquillità economica senza però mai conquistarla, motivo che, insieme ai massacranti ritmi lavorativi e al consumo di oltre cento sigarette al dì, iniziò a minargli la mente oltreché il fisico, facendolo scivolare in una profonda depressione, peraltro accentuata dal gelido distacco col quale la critica accoglieva le sue opere, considerate alla stregua di semplici “libri per ragazzi”.

In aggiunta a ciò, la morte in un breve lasso temporale di due figli maschi lo fece precipitare nella disperazione più inconsolabile, inducendolo già nel 1909 a tentare il suicidio per la prima volta e facendo nel contempo uscire di senno la moglie, ricoverata in manicomio.

Quasi solo, disperato, incerto sul futuro Emilio Salgàri il 25 aprile del 1911 scrisse un ultimo biglietto col seguente commiato dal mondo: “Vi saluto spezzando la penna”, per poi darsi la morte secondo l’antico rituale dei samurai giapponesi facendo harakiri, cioè squarciandosi il ventre con un affilato rasoio.

(Testo di Anselmo Pagani)

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