Le grotte alchemiche sono tre presunti tunnel sotterranei di Torino, in Piemonte. Considerate spesso vere e proprie “porte” per altre dimensioni parallele dai seguaci dell’occulto, pare fossero luogo di ritrovo di vari parapsicologi, esoterici e alchimisti nei secoli, da cui il nome.
Le grotte alchemiche coinciderebbero con la comprovata esistenza di piccoli tratti di antichi passaggi sotterranei sotto il centro storico di Torino, fatti costruire principalmente da e per antichi appartenenti a Casa Savoia, già a partire dal XIV-XV secolo. Secondo molte leggende, le grotte alchemiche sarebbero comunque di ignota ubicazione, anche se furono ipotizzati i seguenti siti: Monumento ai Caduti del Frejus in Piazza Statuto la prima grotta sarebbe situata nei sotterranei del Palazzo Reale di Torino, secondo l’esoterismo il “cuore magico bianco” della città (vertice di un “triangolo bianco” con Praga e Lione), e connessa a sua volta con Piazza Statuto (in particolare, il Monumento ai Caduti del Frejus), presunto “cuore magico nero” (vertice di un “triangolo nero” con Londra e San Francisco). Per alcuni, questa grotta-tunnel sarebbe stata larga quanto una carrozza, permettendo un collegamento segreto dei vari sovrani sabaudi che, dalla loro residenza, raggiungevano amanti e collaboratori fin verso il lontano Castello di Rivoli, posto a occidente.
la seconda grotta, invece, collegherebbe l’antica Porta Fibellona (Piazza Castello), ingresso orientale della città, con i sotterranei di Via Garibaldi, in direzione Piazza Palazzo di Città, e di Via Po, almeno fino alla Chiesa della SS. Annunziata e fu costruita, probabilmente, per fini strategico-militari. Per altri ancora, essa proseguirebbe ancora più a oriente, addirittura passando sotto il Po, per giungere nei sotterranei della Chiesa della Gran Madre, oltre le rive del fiume, dove sarebbe esistito un antico culto egizio legato a Iside.
la terza grotta, infine, sarebbe inespugnabile e nota soltanto a pochissimi al mondo e conserverebbe la pietra filosofale. Se la prova di alcuni piccoli tratti sotterranei (in gran parte chiusi) sotto il centro storico, anticamente utilizzati come collegamenti segreti tra le chiese per vari politici, e l’esistenza di un antico laboratorio alchemico sabaudo sotto Palazzo Reale furono effettivamente ritrovati, la prova di reperti strettamente legati all’esoterismo lascia spazio soltanto a ipotesi occultistiche. (Fonte: Wikipedia)
Cosa accada nella mente umana sembra rappresentare un’essenza unica e imprendibile talvolta labile, altre misteriosa, ma come spesso succede può racchiudere una carica aggressiva irrecuperabile, che non permetta di poter tornare sui propri passi.
E’ quanto spesso si verifica soprattutto nella mente di soggetti maschili, che per motivi forse atavici o di forte frustrazione, sono capaci di riversare, completamente, sulle donne.
In un tracciato di scrittura notevole, per la sua creatività e ambientazione, è quanto mette in rilievo l’autore del testo “ UNA SCATOLA DI LATTA”,Massimo Occhiuzzo, rifacendosi, in parte, a rapimenti di ragazze avvenuti in Italia negli anni passati.
Situazioni assai dolorose, che hanno coinvolto giovani donne, e indotto le loro famiglie, a ritrovarsi in un ginepraio disordinato, dal quale poter riuscire a estrapolare, indizi e motivazioni, utili alla risoluzione del caso..
In una circostanza di forte malessere interiore, agiscono alcuni dei personaggi presentati dall’autore in questo volume, inserito in una Roma che si dimostra quasi indifferente alla gravità di certi
avvenimenti, per la sua ormai presa di coscienza, di dar vita a una società malsana, in cui si sono dissolti, quasi del tutto, remoti valori interiori.
Due innocue signore d’età avanzata, dopo il ritrovamente d’una scatola con delle missive, danno inizio a un’indagine, inizialmente fantomatica, ma che col trascorrere del tempo darà corpo a fatti meno immaginosi e concreti su cui, le autorità, potranno muovere dei passi più decisi e risalire a quanto effettivamente accaduto anni prima.
Fanno la loro comparsa, gradualmente, nel volume i vari interpreti, che daranno il via a una serie di eventi ben congegnati tra loro e che metteranno in risalto, di volta, in volta, le peculiarità caratteriali
di ogni personaggio. Aumenterà, nel corso della lettura la suspance della storia, in un crescendo di occasioni, che terranno avvinto il lettore alle pagine del libro, giungendo così, ad un’inaspettata, quanto imprevedibile conclusione dello stesso.
L’autore oltre a rendere scorrevolissima la lettura, con un’attento tratteggio dei vari protagonisti, che a mano a mano, compaiono sulla scena del giallo, ne raffigura con abilità l’impronta ideologica,
rendendo ognuno di loro molto vicino a una dialettica di vita che scorre giornalmente nel nostro quotidiano. In questo contesto, Occhiuzzo, rende assai appropriato alla dinamica del libro, l’atteggiamento dei vari soggetti, che si muovono in un’atmosfera precisa in tutti gli accadimenti,
davvero correlati tra di loro.
Dimostra pertanto, lo scrittore, una spiccata sensibilità d’animo a pennellare personalità umane dal profilo, talvolta complesso, che operano in una dimensione ambigua, celando la propria oggettività in atteggiamenti discordanti e lontani da una realtà accettabile di vita.
Una visione approfondita e delineata, risulta, essere stato il proponimento dell’autore, in questo testo, della primitività e violenza del maschio, che poco sembra essersi evoluto, nel corso dei secoli,
dando vita a scene di possessività esasperante e cruenta nei confronti dell’altro sesso, assai più sensibile e progredito, e in grado di dare scacco a sollecitazioni mentali dai toni assai superati.
@Silvia De Angelis
L’anziana donna sedeva sulla sua poltrona e pensava a ciò che non sarebbe più riuscita a fare nella vita. Il fisico la stava via via abbandonando e la dipendenza verso gli altri era sempre più marcata. Persino alzarsi per andare a fare un bisogno era diventata un’impresa da agonista puro. Si allungò appena per afferrare il libro sul mobiletto vicino a lei. La lettura era ciò che le rimaneva e che riusciva ancora a emozionarla. Vicino al libro trovò qualcos’altro che non si aspettava. Una scatola bianca con tanto di nastro rosso e un biglietto. Aprì la busta del biglietto e, incuriosita lesse il messaggio. C’era scritto semplicemente «Ecco la felicità». (Segue)
La ricca signora si svegliò la mattina con ancora un forte mal di testa. Non osava schiacciare il tasto per l’apertura delle tapparelle della finestra per timore che la luce potesse acuire ancora di più l’emicrania. I postumi della festa della sera precedente erano drammatici quella mattina. Alla fine si fece coraggio e cercò con la mano il telecomando sul comodino. Lo trovò, ma sentì anche qualcos’altro vicino a ciò che cercava. Una piccola scatola. La sorpresa le fece dimenticare il mal di testa. Fece entrare la luce, vide la scatoletta bianca con il nastro rosso e incuriosita lèsse il biglietto. C’era scritto semplicemente «Ecco la felicità». (Segue)
Lisa era disperata. A quattordici anni non era giusto soffrire così. Due genitori che le avevano pianificato la vita. Studio, amici, sport. Tutto era programmato. Ma la musica non era nei loro programmi. Quella musica che la faceva volare. Che le dava i brividi e la rendeva leggera. Decise di mettere in atto il suo piano. Fuggire di casa e partire per andare lontano. A Milano.
Aveva un amico lì, lo aveva conosciuto l’estate precedente a Riccione. Aveva 500 euro dei regali che i suoi parenti le avevano via via donato per le varie feste. Le sarebbero bastati? Non poteva saperlo, ma sicuramente le avrebbero consentito di acquistare un biglietto del treno di sola andata. Apri il mobile dove li conservava e la vide. Era una scatola con un fiocco rosso. Si fece seria e prese il biglietto. Lo aprì e lèsse: «Ecco la felicità». (Segue)
Anita non sapeva più quanti anni avesse. Non sapeva quanti gliene sarebbero rimasti. Non sapeva dove avrebbe passato quella notte che si preannunciava più fredda del solito. Il muro su cui era appoggiata aveva l’intonaco vecchio e immaginava che il suo cappotto recuperato qualche anno prima dal cassone dei vestiti per i poveri, si sarebbe infarinato un po’ da quella polvere. Guardava la strada e cercò di ricordarsi di che colore fosse. Ma non se lo ricordava. Erano anni che non si guardava neanche. Adesso pensava al suo cartone che la pioggia del giorno prima aveva irrimediabilmente rovinato. Si rattristò. Abbassò lo sguardo e vide che davanti a lei qualcuno aveva poggiato un pacco bianco con un nastro rosso e un biglietto sopra. Non poteva pensare che fosse per lei. Rimase un po’ a guardarlo aspettando che qualcuno tornasse per riprenderselo. Dopo un po’ si fece coraggio e per prima cosa prese il biglietto e lo lèsse: «Ecco la felicità». (Segue)
L’anziana signora aprì il pacchetto. Trovò una foto. Inforcò gli occhiali e guardo bene. Era sua nipote, in quel momento quindicenne che sorrideva gioiosa. Ma nella foto era più matura, splendida. Aveva una corona di alloro sulla testa e un libro in mano che doveva essere la sua tesi di laurea.
All’anziana signora vennero le lacrime agli occhi dalla felicità. «Adesso» si disse «potrei anche morire sapendo ciò che sarebbe successo».
Dalle dimensioni del pacchetto la ricca signora aveva già intuito tutto. Scartò senza entusiasmo il pacchetto e scopri al suo interno una custodia a lei familiare. Delusa dalla mancanza di fantasia del suo compagno, apri la custodia di quello che immaginava già essere il suo ennesimo anello con diamante, o rubino , o smeraldo, o qualsiasi altra noiosa pietra preziosa. Ed invece trovò un biglietto. La sua cara amica che non vedeva dai tempi dell’Università la stava invitando da lei. Avrebbero passato una splendida settimana assieme rivivendo i luoghi dell’Erasmus.
La donna si ritrovò a sorridere era felicissima.
Lisa scosse il pacchetto. Non senti alcun rumore. Sembrava assolutamente vuoto. Aspettò ancora qualche attimo poi, scrollando le spalle, si decise ad aprirlo. C’era un biglietto scritto a mano. Lo lèsse, era un contratto per l’acquisto di un costosissimo pianoforte e il modulo di iscrizione al conservatorio. Rimase sorpresa, i suoi genitori non potevano permettersi quella spesa. Poi pensò ai suoi genitori, alle domeniche senza ristorante da anni, a tutte le loro estati passate a casa mentre lei andava a Riccione con la nonna. Un nodo alla gola le bloccava il respiro. Ma era felice. Per il dono e per sapere di avere due genitori così.
Anita non ricordava neppure quando fosse stata l’ultima volta che aveva ricevuto un dono. Non sapeva neanche se fosse per lei. Ma finse di sì. Con calma iniziò a scartarlo. Si trovò davanti ad una scatola di cartone. «comoda» pensò «mi ci sdraierò sopra la notte. Aprì con cura la scatola e dentro ci trovò una pesante coperta di lana.
Giuncheto lieve biondo come un campo di spighe presso il lago celeste
e le case di un’isola lontana color di vela pronte a salpare –
Desiderio di cose leggere nel cuore che pesa come pietra dentro una barca –
Ma giungerà una sera a queste rive l’anima liberata: senza piegare i giunchi senza muovere l’acqua o l’aria salperà – con le case dell’isola lontana, per un’alta scogliera di stelle – * Benedizione
Tempia contro tempia si trasfondono le nostre febbri. Fuori, tremoli lunghi di stelle e l’edera, con le sue palme protese, a trattenere un luccicore mite. Nella mia casa che riscalda, tu mi parli delle grandi cose che nessun altro sa. Lontano, una gran voce d’acqua scroscia a parole incomprese e forse a te benedice, dolce sorella, nel nome del mio amore e della tua tristezza, a te, ala bianca della mia esistenza. * Prati
Forse non è nemmeno vero quel che a volte ti senti urlare in cuore: che questa vita è, dentro il tuo essere, un nulla e che ciò che chiamavi la luce è un abbaglio, l’abbaglio supremo dei tuoi occhi malati – e che ciò che fingevi la meta è un sogno, il sogno infame della tua debolezza.
Forse la vita è davvero quale la scopri nei giorni giovani: un soffio eterno che cerca di cielo in cielo chissà che altezza.
Ma noi siamo come l’erba dei prati che sente sopra sé passare il vento e tutta canta nel vento e sempre vive nel vento, eppure non sa così crescere da fermare quel volo supremo né balzare su dalla terra per annegarsi in lui. * Tramonto
Fili neri di pioppi – fili neri di nubi sul cielo rosso – e questa prima erba libera dalla neve chiara che fa pensare alla primavera e guardare se ad una svolta nascano le primule – Ma il ghiaccio inazzurra i sentieri – la nebbia addormenta i fossati – un lento pallore devasta i colori del cielo – Scende la notte – nessun fiore è nato – è inverno – anima – è inverno. * Notturno
Curva tu suoni ed il tuo canto è un albero d’argento nel silenzio oscuro –
Limpido nasce dal tuo labbro – il profilo delle vette – nel buio –
Muoiono le tue note come gocce assorbite dalla terra –
Le nebbie sopra gli abissi percorse dal vento sollevano il suono spento nel cielo – * Nebbia
Se c’incontrassimo questa sera pel viale oppresso di nebbia si asciugherebbero le pozzanghere intorno al nostro scoglio caldo di terra: e la mia guancia sopra le tue vesti sarebbe dolce salvezza della vita. Ma fronti lisce di fanciulle a me rimproverano gli anni: un albero solo ho compagno nella tenebra piovosa e lumi lenti di carri mi fanno temere, temere e chiamare la morte. * Bellezza
Ti do me stessa, le mie notti insonni, i lunghi sorsi di cielo e stelle – bevuti sulle montagne, la brezza dei mari percorsi verso albe remote.
Ti do me stessa, il sole vergine dei miei mattini su favolose rive tra superstiti colonne e ulivi e spighe.
Ti do me stessa, i meriggi sul ciglio delle cascate, i tramonti ai piedi delle statue, sulle colline, fra tronchi di cipressi animati di nidi –
E tu accogli la mia meraviglia di creatura, il mio tremito di stelo vivo nel cerchio degli orizzonti, piegato al vento limpido – della bellezza: e tu lascia ch’io guardi questi occhi che Dio ti ha dati, così densi di cielo – profondi come secoli di luce inabissati al di là delle vette – * Convegno
Nell’aria della stanza non te guardo ma già il ricordo del tuo viso come mi nascerà nel vuoto ed i tuoi occhi come si fermarono ora – in lontani istanti – sul mio volto. * Voli
Pioggia pesante di uccelli su l’albero nudo: così leggermente vibrando di foglie vive si veste.
Ma scatta in un frullo lo stormo, l’azzurro Febbraio con la sera sta sui rami.
È gracile il mio corpo, spoglio ai voli dell’ombra. * Radici
Gronda di neve disciolta la casa. Trasale l’anima al tonfo delle gocce fitte.
Così sfacendosi dolorano le cose.
Ma lontano, oltre i veli del sole e gli insicuri riflessi, oltre il trascolorare delle ore, vive un esiguo mondo d’erba e di terra.
Radici profonde nel grembo di un monte a Primavera votate si celano.
E conosco io sola il nome d’ogni fiore che fiorirà, la luce ed il pezzo di zolla in cui prima riappaia la tenera esistenza delle foglie.
Radici profonde nel grembo di un monte conservano un sepolto segreto di origini – e quello per cui mi riapro stelo di pallide certezze.
*
Antonia Pozzi (Milano, 1912-1938) cresce in un ambiente familiare raffinato e ricco di stimoli nel quale da generazioni si coltiva l’amore per le arti e per le lettere (uno dei suoi antenati è Tommaso Grossi). In questo clima favorevole, le sue doti maturano precocemente: Antonia, infatti, è appena adolescente quando scrive i suoi primi versi. Dopo il liceo si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia della Statale di Milano, dove stringe amicizia con alcuni degli intellettuali più in vista del tempo. I suoi molteplici interessi spaziano dalla poesia alla fotografia, dalla storia patria alle lingue straniere. Anima fragile, sensibilissima e tormentata, è consumata da un male interiore che la porta a togliersi la vita a soli ventisei anni. Le sue opere, tutte pubblicate postume, comprendono lettere, prose, diari, poesie e fotografie, oltre alla tesi di laurea su Gustave Flaubert. L’apprezzamento del grande pubblico va soprattutto alle sue raccolte poetiche. “Parole”, una delle più celebri, è uscita per la prima volta nel 1939 ed ha avuto diverse edizioni. Partita dal crepuscolarismo, la sua poesia si lascia poi permeare dall’ermetismo e dall’espressionismo tedesco, che l’aiutano a dar voce alla sua inquietudine senza scampo.
Donatella Pezzino
Fonti:
wikipedia
Antonia Pozzi, Parole. Tutte le poesie, ed. Ancora, 2015)
Antonia Pozzi, A cuore scalzo. Poesie scelte, a cura di G. Bernabò e O. Dino, Milano, Ed. Ancora, 2019.
“Tutto è respiro”, di Alfredo Alessio Conti. Guido Miano Editore
“Tutto è respiro” di Alfredo Alessio Conti (Guido Miano Editore, Milano 2022 pp. 64 € 15.00) racchiude la volontà stilistica dell’autore a distendere lungo l’arco di un nuovo canto poetico, la rinascita quotidiana della meraviglia. Il poeta abbraccia l’universalità di tutti gli elementi umani, riunisce nel ritmo dell’esistenza il rinnovamento emotivo, orienta la relazione interna del tempo, la percezione della realtà, l’essenza del soffio vitale, il principio filosofico di tutte le cose, esteso nello spazio e nel suo legame con la scrittura.
Alfredo Alessio Conti percorre il cammino comune verso la partecipazione sensibile all’esperienza biografica, rinnova la sperimentazione espressiva della qualità persuasiva del linguaggio, ricerca una nuova capacità della parola, aderisce alla purezza del verso, mette in evidenza il senso ritrovato delle inquietudini, il lirismo protettivo dei sentimenti, l’energia dei significati impulsivi e le suggestioni morali.
Il poeta comprende il complesso legame con l’universo, sottrae all’isolamento e all’angoscia dell’uomo la distinzione del miracolo della vita, indica l’intensità del mistero, intuisce la prospettiva esistenziale nel drammatico e meditativo conflitto tra la contingenza e la necessità nel divenire della materia speculativa, riconquista, attraverso l’esclusiva esperienza dell’insegnamento elegiaco, la fiducia della coscienza.
La poesia di Alfredo Alessio Conti invoca il desiderio inafferrabile dell’eterno, raccoglie il respiro sconfinato della fede, insegue l’ispirazione sovrumana e magica della verità, esorta la preghiera terrena in direzione del dialogo con l’Assoluto. Alfredo Alessio Conti riprende il sussurro indistinto, lieve e prolungato, dell’anima, spiega la spiritualità nell’inesauribile saggezza della Provvidenza, dilata la crudele nostalgia dei ricordi, salva la destinazione rasserenante dell’immensità del luogo interiore, dipinge la riflessione tra la solitudine e il silenzio del tempo nello scenario cosmico della finitudine.
La raccolta poetica “Tutto è respiro” accoglie l’ultima fermata degli orizzonti, la malinconia dei richiami perduti, la sofferenza del vuoto, ma illumina l’oscurità del tormento con la compiutezza esplicativa dei versi, con il chiarore della speranza. Lo sguardo del poeta oltrepassa il confine delle lacrime, l’esilio delle illusioni, staglia i frammenti dei paesaggi vissuti, amati, condivisi nella profondità complice degli occhi, sostiene il coraggio con cui guarda al mondo, il raggio di sole che si posa di là dalle ferite.
Alfredo Alessio Conti dona armonia e amore all’attesa di ogni compimento con l’eleganza simbolica del domani, quando il destino imperscrutabile regola la creazione di ogni istante e non scompare nell’inconsistenza. ”Vi arriva il poeta/e poi torna alla luce con i suoi canti/e li disperde./ Di questa poesia mi resta quel nulla d’inesauribile segreto” (Giuseppe Ungaretti).
Voce di- Vento
Nel gioco delle lettere
che si rincorrono leste
sorge dal nulla la parola
Un portento della fantasia
o solo l'immagine onirica
del cuore che cerca tepore
La solita che dona emozione
nascosta tra le pieghe
del tempo che mai fu tuo
Un miracolo concesso
ascoltando nel silenzio
la voce del vento
Roberta Calati
Inaugurazione 11 Settembre 2022, ore 16,30 presso “Studio 55” via Marconi, 55 Novi Ligure – Alessandria
Forma Rinata
Alessandra Guenna non ha certo paura della forma: la insegue anzi con sicuro piacere fin dall’inizio delle sue scelte artistiche.
Una forma agguerrita, imbevuta di Picasso e di Matisse, forma maschia e irruente per il segno impetuoso, fin da principio insofferente di rifiniture.
Segno immediatamente espressivo di un appassionato quanto problematico “essere” nel mondo.
La mano corre obbediente al suo sentire, sfiora la forma e la sbiadisce nel vario maculato del supporto a mostrarsi sfacciata nella propria essenziale nudità.
La macchia prende il campo, s’impadronisce del supporto, sottomette la forma che soggiace compiaciuta alla suggestione decorativa.
E’ solo pausa.
Dal fondo arabescato della macchia, quella forma soppressa si fa spazio e, beffarda e vincente emerge in superficie – Forma Rinata – a riguardare il mondo.
Maria Grazia Montaldo Spigno
Genova, Univesità degli Studi
Biografia
Alessandra Guenna
Alessandra Guenna vive e lavora a Novi Ligure.
Si è diplomata al Liceo Artistico “N. Barabino” di Genova dove ha frequentato le lezioni dei più importanti Artisti Liguri tra cui il Maestro Alberto Nobile.
Successivamente è stata allieva della scultrice Adriana Spallarossa.
Già docente in Disegno e Storia dell’Arte alle scuole superiori, è Direttore Artistico presso l’Associazione Culturale “SPAZIO ARTE” in Corte Zerbo a Gavi Ligure, Alessandria.
Opere in premanenza:
Croce – Santa Maria di Castello – Genova
Crocefissione – Madonna del Suffragio – Alessandria
Un tempo esistevano i bestseller (o best seller) all’italiana. Riuscivano a coniugare letterarietà ed evasione (come i successi di Salgari, Collodi, De Amicis) ad esempio negli ultimi decenni dell’Ottocento. Oppure nel Novecento riuscivano a creare un connubio tra letterarietà e impegno (come nel caso del “Il giardino dei Finzi-Contini”, “Il gattopardo”, “La ragazza di Bube”, “La noia”, “Il giorno della civetta”). Nell’Ottocento anche i romanzi di appendice avevano una loro dignità. Oggi molti bestseller (la maggioranza sono bestseller di consumo) sono frutto di un mix di furbizia, marketing, ricerca grossolana di intrattenimento. Per diventare scrittori di successo nella maggioranza dei casi bisogna essere multitasking: andare in televisione, fare molte presentazioni delle proprie opere, essere commerciali, pensare a un eventuale adattamento cinematografico, pubblicare con una grande casa editrice. Il rischio però in cui incorre un aspirante scrittore è sempre quello di diventare un personaggio pubblico senza essersi arricchito. Uno scrittore ad esempio che vende diecimila copie può essere noto ed avere tutti gli oneri del personaggio pubblico ma non gli onori e i guadagni. Per scrivere un bestseller bisogna anche farsi guidare dalla propria casa editrice e dal proprio editor. Non voglio con questo negare che per scrivere un bestseller ci voglia anche del talento e non voglio neanche fare una fenomenologia del bestseller. Esistono casi anche di bestseller nati con il passaparola. In generale i lettori italiani sono esterofili e spesso importiamo bestseller più che esportarli. Uno dei pochi a sovvertire questa regola è stato Umberto Eco.
Molti intellettuali snobbano i bestseller e con questi la cultura di massa. Gli intellettuali dovrebbero sempre analizzare i gusti del pubblico, anche senza essere studiosi di sociologia della letteratura. Forse non lo fanno a sufficienza. D’altra parte ci sono anche molti lettori, che pensano che i libri di Dan Brown, Fabio Volo, Federico Moccia, Susanna Tamaro siano dei capolavori. Forse sbagliano entrambi. Forse oggi come non mai si può assistere al superamento di concezioni come quelle di cultura alta e di cultura bassa. D’altra parte non possiamo nemmeno affermare che la qualità di un’opera non coincide quasi mai con la quantità delle copie vendute perché oggi i critici letterari sono sempre più rari e i canoni estetici di un tempo si sono dissolti. Aveva ragione Arbasino: se dovessimo giudicare i ristoranti dal numero di clienti le grandi catene di paninoteche sarebbero considerate i migliori ristoranti. Bisognerebbe però, prima di acquistare un libro, chiedersi sempre se si cerca del puro divertimento oppure se si vuole un’opera che ci faccia riflettere e magari riesca ad aggiungere un tassello alla nostra ricerca del vero. Almeno questo….onde evitare delusioni. Personalmente tra un libro di nicchia e un bestseller io vi consiglierei di comprare un long seller (o classico).
Ernest Miller Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961) è stato uno scrittore e giornalista statunitense. È stato un autore di romanzi e di racconti. Nasce il 21 luglio 1899 a Oak Park (sobborgo di Chicago). Secondogenito di Clarence Edmonds, medico di famiglia benestante e di Grace Hall, ex aspirante cantante d’opera lirica, quando aveva appena un anno fu portato in una casa estiva nel Michigan vicino a un lago. Poté abituarsi quindi presto all’aria aperta e alla natura. Il padre lo conduceva spesso con sé quando andava a visitare nella riserva indiana i suoi pazienti (molti ricordi di questo periodo rientreranno nei suoi racconti) e da qui si rafforzò nel ragazzo l’amore per la natura, per la caccia, la pesca e l’avventura. Aveva solamente dieci anni quando gli fu regalato il suo primo fucile da caccia che imparò presto a usare con grande maestria suscitando l’invidia dei compagni, tanto che un giorno, a causa di un bottino di quaglie che stava portando a casa, venne assalito da un gruppetto di ragazzi che lo picchiarono e fu probabilmente questo episodio che gli fece nascere il desiderio di imparare la boxe. E’ il 1917 quando comincia a maneggiare carta e penna, dopo essersi diplomato, lavorando come cronista al “Kansas City Star”. L’anno dopo, non potendo, a causa di un difetto all’occhio sinistro, arruolarsi nell’esercito degli Stati Uniti appena scesi in guerra, diventa autista di autoambulanze della Croce Rossa e viene spedito in Italia sul fronte del Piave. Ferito gravemente dal fuoco di un mortaio l’8 luglio del 1918 a Fossalta di Piave, mentre sta salvando un soldato colpito a morte, viene ricoverato in ospedale a Milano, dove s’innamora dell’infermiera Agnes Von Kurowsky, che però non mantenne la promessa di sposarlo, perché considerava il rapporto con lui una relazione giovanile, fugace e platonica. La vicenda ispirò qualche anno dopo (1929) A Farewell to Arms (Addio alle armi). Dopo essere stato decorato al valor militare, nel 1919 torna a casa. Dopo il rientro a casa, Hemingway ricominciò a scrivere, ad andare a pesca e a dare conferenze nelle quali raccontava i giorni drammatici trascorsi sul fronte italiano. Si dedica alla stesura di racconti, del tutto ignorati da editori e dall’ambiente culturale. Scacciato di casa dalla madre che l’accusa d’essere uno scapestrato, si trasferisce a Chicago dove scrive articoli per il “Toronto Star” e “Star Weekly”. Ad una festa conosce Elizabeth Hadley Richardson, di sei anni più grande di lui, alta e graziosa. I due s’innamorano e nel 1920 si sposano, contando sulla rendita annua di tremila dollari di lei e progettando di andare a vivere in Italia.Quell’autunno decise di trasferirsi a Parigi, su suggerimento di Sherwood Anderson, che gli fornì alcune lettere di presentazione per la scrittrice statunitense espatriata Gertrude Stein affinché lo presentasse a James Joyce e a Ezra Pound, un incontro fondamentale per lui, nell’ambiente degli espatriati statunitensi e della “generazione perduta”, che considerò fin dall’inizio un maestro e grazie al quale cominciò a pubblicare alcuni racconti e poesie su riviste letterarie.Nel 1926 escono libri importanti come “Torrenti di primavera” e “Fiesta”, tutti grandi successi di pubblico e di critica. Nel 1928 eccolo di nuovo ai piedi dell’altare per impalmare la bella Pauline Pfeiffer, ex redattrice di moda di “Vogue”. I due fanno poi ritorno in America, mettono su casa a Key West, Florida e danno alla luce Patrick, il secondo figlio di Ernest. Nello stesso anno però un evento tragico,il padre, Clarence Hemingway, in preda a problemi finanziari, si suicidò con la sua Smith & Wesson. Nel 1930 ha un incidente automobilistico e si frattura il braccio destro in più punti. E’ uno dei molti incidenti in cui incappa in questo periodo di viaggi e di avventure: il fisico muscoloso, il carattere da attaccabrighe, la predilezione per le grandi mangiate e le formidabili bevute lo rendono un personaggio unico dell’alta società internazionale. E’ bello, duro, scontroso e, nonostante sia poco più che trentenne, è considerato un patriarca della letteratura, tanto che cominciano a chiamarlo “Papa”. Partecipa al suo primo safari in Africa, un altro terreno per saggiare la propria forza e il proprio coraggio. Nel 1935 esce “Verdi colline d’Africa”, romanzo senza trama, con personaggi reali e lo scrittore protagonista. Nel 1937 pubblica “Avere e non avere”, il suo unico romanzo d’ambientazione americana. Si reca in Spagna, da dove manda un reportage sulla Guerra civile. “Breve la vita felice di Francis Macomber” e “Le nevi del Chilimangiaro”, ispirati al safari africano, sono due testi che entrano a far parte della raccolta “I quarantanove racconti”, pubblicata nel 1938, che resta tra le opere più straordinarie dello scrittore. E’ il 1940 quando divorzia da Pauline e sposa la scrittrice Martha Gellhorn, anche lei corrispondente di guerra. Alla fine dell’anno esce “Per chi suona la campana” sulla guerra civile spagnola ed è un successo travolgente. Nel 1941 marito e moglie vanno in Estremo Oriente come corrispondenti della guerra cino-giapponese. Quando gli Stati Uniti scendono in campo nella seconda Guerra, partecipa davvero alla guerra per iniziativa della bellicosa Martha, inviata speciale in Europa della rivista Collier’s, che gli procura l’incarico della RAF, l’aeronautica militare inglese, di descrivere le sue gesta. Il 6 giugno è il D-day, il grande sbarco alleato in Normandia. Sbarca anche Hemingway e Martha prima di lui, costituisce una sua sezione del servizio segreto e una unità partigiana con la quale partecipa alla liberazione di Parigi, viene decorato con la ‘Bronze Star’. Divorzia da Martha e nel 1946 sposa Mary, quarta e ultima moglie. Nel 1952 pubblica “Il vecchio e il mare”, un romanzo breve, che commuove la gente e convince la critica,vende cinque milioni di copie in 48 ore. Vince il Premio Pulitzer. I numerosi incidenti occorsigli nella sua vita in buona misura sono conseguenti al suo voler vivere sempre esperienze al limite, come quelle della guerra o di altre situazioni estreme nelle quali “mettersi alla prova”. D’altra parte vi sono almeno tre aspetti del suo carattere emersi sin dall’adolescenza e sottolineati dagli studiosi. Essi sono il narcisismo, l’amore per le situazioni di pericolo e il senso della morte. Il 21 gennaio 1954 partì con Mary dall’aeroporto di Nairobi, ma la “sfortuna” lo stava perseguitando. Il pilota dell’aereo sul quale viaggiava, per evitare uno stormo di ibis, colpì un filo del telegrafo e, con l’elica e la fusoliera danneggiata, tentò un atterraggio di fortuna in Uganda dove, con una spalla rotta, Hemingway e la moglie furono costretti a trascorrere la notte all’aperto e al freddo. Il mattino, avvistati da una grande barca e fatti salire a bordo, furono trasportati a Butiaba dove Reggie Cartwright si offrì di portarli fino a Entebbe col suo piccolo aereo, ma l’aereo prese fuoco e lo scrittore, nel tentativo di sfondare un portello con la testa, subì danni fisici molto gravi dai quali non si riprese mai più. Solo alla fine di marzo, dimagrito di dieci chili, poté raggiungere Venezia dove il conte Federico Kechler lo raggiunse e lo accompagnò in varie cliniche per esami radiografici e visite più complete. Il 28 ottobre del 1954 Hemingway ricevette per telefono la notizia che gli era stato assegnato il premio Nobel per The Old Man and the Sea (Il vecchio e il mare), ma non fu in grado di viaggiare fino a Stoccolma per la cerimonia del 10 dicembre, così il premio fu ritirato dall’ambasciatore John Cabot. Si dice che quando gli portarono il premio lo scrittore commentò «Troppo tardi». Nel gennaio 1960, accompagnato da Valerie, Hemingway andò a Miami e continuò a scrivere la storia delle corride, che ormai era un manoscritto di 688 pagine. Ossessionato dal lavoro, in giugno lo scrittore chiese all’amico Aaron Edward Hotchner di raggiungerlo alla Finca per aiutarlo a sfrondare il testo che sarebbe poi diventato The Dangerous Summer (Un’estate pericolosa). Scrive “Festa mobile”, un libro di ricordi degli anni parigini, che uscirà postumo (1964). Un altro libro postumo è “Isole nella corrente” (1970). Intanto i segni di squilibrio mentale si facevano sempre più evidenti:gli fu diagnosticata una emocromatosi, fu sottoposto a numerosi elettroshock e venne colpito da afasia. Debole, invecchiato, malato si ricovera in una clinica del Minnesota. Profondamente depresso perché pensa che non riuscirà più a scrivere, la mattina di domenica 2 luglio 1961 si alza di buon’ora, prende il suo fucile a canna doppia, va nell’anticamera sul davanti della casa, appoggia la doppia canna alla fronte e si spara. Lo stile narrativo di Ernest Hemingway si basa sulla semplicità e su una prosa essenziale caratterizzata da frasi brevi, semplici e concise, prive di parole superflue, i suoi romanzi e racconti sono ricchi di dialoghi che egli preferiva a uno stile descrittivo. Infatti, Hemingway limitò affermazioni esplicite, introspezione, descrizioni di stati d’animo e sentimenti, preferiva che i lettori, piuttosto che ricevere la descrizione di un’emozione, vedessero le cose e i fatti che producevano le emozioni stesse.
NAPOLI:
“Il mondo è un bel posto e per esso vale la pena di lottare.”
“L’uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto ma non sconfitto”
*Davvero nel leggere la biografia di questo grande “personaggio” molto più di uno scrittore sono rimasta allibita. La vita stessa, da lui consumata fino allo spasimo, è un romanzo di avventure, incredibile coinvolgente. Guerra, sfide, viaggi, amori, successi letterari, di tutto e di più. Un uomo forte, appassionato, assetato. Ha vissuto i più grandi momenti della storia a cavallo delle due guerre, lo sbarco in Normandia, rivoluzioni. Tutto sul filo del pericolo come una continua sfida alla morte e alla fine ha vinto lui. Quando si è reso conto di essere troppo malato e di poter impazzire ha fatto quello che riteneva opportuno, niente lo aveva terrorizzato che perdere la lucidità, il suo patrimonio, il cervello. .